Gli editori, alla disperata ricerca di fonti di ricavo, vogliono far pagare Google per la pubblicazione dell’anteprima dei loro contenuti. Si tratta di una vecchia storia tornata prepotentemente alla ribalta dalla seconda metà di ottobre in poi.
In Brasile 150 giornali, che rappresentano circa il 90% del lettorato nazionale, hanno deciso di uscire da Google News dopo che il più importante motore di ricerca si era rifiutato di dare loro una compensazione economica per la pubblicazione. Decisione che avrebbe avuto un impatto modesto, con un calo degli accessi alle edizioni online dei quotidiani brasiliani di soltanto il 5% e che successivamente ha portato ad un accordo di natura sperimentale per il quale durante i prossimi sei mesi Google pubblicherà solamente titolo dell’articolo e una sola riga di anteprima invece delle tre che riporta usualmente.
Anche in Europa il fronte degli editori ha deciso di [ri]aprire la partita contro l’azienda di Mountain View.
In Francia il Presidente Hollande ha incontrato Eric Schmidt, Presidente di Google, “invitandolo” a trovare un accordo entro la fine di quest’anno con gli editori transalpini pena una legge nazionale che sancirebbe un fee, una royalty da versare alle testate. Ipotesi relativamente alla quale la posizione di Google è chiara.
In Germania è in corso di approvazione una legge che estenderebbe il copyright alla pubblicazione di estratti di articoli nei risultati dei motori di ricerca imponenedo un canone agli aggregatori, come Google News, in una forma analoga a come opera attualmente la SIAE nel nostro Paese per, ad esempio, la riproduzione di brani musicali. Ipotesi che secondo molti, a prescindere da altre considerazioni, finirebbe per beneficiare esclusivamente i grandi editori penalizzando il diritto d’autore dei giornalisti favorendo la formazione di monopoli.
Le motivazioni sono ben riassunte nell’articolo di ieri pubblicato sul Corsera e redatto da Serena Danna: da un lato molti sostengono che — mostrando titoli e anteprime degli articoli — Google riduca la possibilità per ogni pezzo di essere letto sul sito d’origine e dall’ altro lato si ritiene che il celebre motore di ricerca si arrricchisca, con i proventi derivanti dall’ advertising, grazie ai contenuti che gli editori. Da qui in buona sostanza la richiesta di un esborso economico, di una compensazione.
Per chi volesse comprendere come funziona l’algoritmo di Google News e quali siano i 10 fattori chiave nella scelta della rilevanza attribuita a ciascuno articolo, a ciascuna testata, esiste un’area dedicata allo scopo che, se posso, consiglio assolutamente di visitare.
Top 10 Most Important Google News Ranking Factors
Al di là degli aspetti tecnologici, quale sia la rilevanza in termini di ingressi pubblicitari per Google dalle notizie è ben spiegato da Frédéric Filloux che ha analizzato le ricerche effettuate dagli utenti e le keywords, le parole chiave di maggior valore, vendute a maggior prezzo da Google. Analisi [qui tradotta in italiano] secondo la quale il valore apportato dagli editori sarebbe scarso o nullo.
Anche i timori che le anteprime mostrate dall’aggregatore di notizie di Google limitino le visite ai siti web sembrano assolutamente infondati. Secondo i dati pubblicati da PEW Internet infatti mediamente circa il 30% delle visite arriverebbe proprio da Google. Una realtà della quale recentemente sembra essersi accorto anche Rupert Murdoch che per anni aveva combattuto un’aspra battaglia contro il motore di ricerca.
Le motivazioni degli editori sono pressochè inconsistenti oltrechè anacronistiche. Inconsistenti sotto il profilo del vantaggio economico portato ed anacronistiche sia poichè non tengono conto della cultura della circulation, processo che i social media hanno reso inarrestabile, che perchè, comunque vada a finire la disputa con Google nelle diverse nazioni, quando e qualora riuscissero ad ottenere una compensazione economica si inserirebbero [ancora una volta?] in un segmento di mercato, per così dire, calante. Infatti, nonostante le continue migliorie, gli aggiornamenti che Google produce, anche, per Google News, il ruolo dell’aggregatore è destinato a calare soppiantato sempre più da aggregatori sociali di seconda generazione quali, per citarne alcuni, Zite, Flipboard e Prismatic oltre che da realtà editoriali emergenti, quali, uno per tutti Buzzfeed.
Come scrivevano Don Tapscott e Antony D. Williams già nel 2007 in “Wikinomics” è la creazione di valore [aggiunto] per il cliente, per le persone, NON il controllo la risposta da dare nella digital economy. Che molti editori, molte testate, a cinque anni di distanza non l’abbiano ancora compreso è oltremodo preoccupante.
Questa non è la stampa, è il Web, bellezza!
Ad integrazione, sempre in tema ovviamente, si consiglia la lettura di: We Can Save Newspapers by Destroying The Web e Does Google Even Need Newspaper Publishers?