Urge una premessa:Jerez Caput Mundi. D'altronde poche cose,oltre al MotoGP, potevano riunire nello stesso posto, periodo e pretesto due tra le figure più importanti di tutta la mia vita musicale. La presenza di Cesare Cremonini era confermata. Quella di Dani Martín l'immaginavo, piuttosto, in virtú dei non detti. C'erano foto altrui, punti esclamativi, e la certezza vivida di quei rari momenti in cui non nutri piú alcun dubbio sul futuro. C'é chi lo chiama istinto. Per me, é piú vicino alla premonizione.
Comunque, un rapporto tecno- epistolare stava per farsi in qualche modo concreto. Da anni, ormai, mi sono persa in questa strana missione di far da intermediaria tra quei due. Li ho messi in contatto. Ho spacciato cd qua e lá dai confini. Ho tradotto tweet (meglio di Google), filmato concerti e riferito novitá. Decisamente troppo, per non sentirmi almeno in parte responsabile. Jerez. Mi ci stavo ossessionando, con questa maledetta Jerez.
Il circuito di Jerez de La Frontera in una foto di Cesare Cremonini su TwitterCosí, nel tentativo estremo di deviare i pensieri, ho eletto Bologna a meta del weekend. Scelta azzeccatissima, Ilaria, complimentoni. Ché non solo é la cittá di uno dei due, ma si da il caso che “La Nuova stella di Broadway” insista col perseguitarmi in ogni bar. Ormai la malsopporto, quella canzone. Immagino dipenda anche da ciò che rappresenta. Voglio dire: da un lato rende ancora piú evidente la distanza che intercorre tra me e i fan di Cremonini: loro, che l'han sempre adorata in massa. Io, che ho sempre pensato che nel disco ce ne fossero di molto migliori. E' una distanza che ho creato io stessa, a base di kilometri e silenzi, profonda troppi anni per poterla colmare. Dall'altro lato, peró, il fatto stesso di dire che “nel disco ci sono brani molto migliori del singolo” é quanto di piú tipico nell'indole di un fan.
La scelta di Bologna, ad ogni modo,era in realtàmossa dal pretesto di una mostra. Organizzata in collaborazione con La Caravella, prometteva quadri ispirati a trenta dei loro libri. Tra questi, ci sarebbe stato anche il mio. Si sa: MotoGP o meno, io sono curiosa. Cosí, ho preso il mio bel trenino ciuff (dove bello e ciuff sono da intendersi come licenze poetiche), ho infilato le cuffie, e sono finita nel mezzo di una gita scolastica delle scuole elementari. Insomma, é universalmente noto che trovarsi nello stesso vagone di una gita scolastica é indice di imminente sventura. Oltrettutto, ciascuno di quei bimbi era inquietantemente dotato di device tecnologici mica da ridere. Touch screen. Cover coi brillantini. Due console nintendo a testa, oltre all'obbligatoriocellulare. Ne ho addirittura visto uno con l'Iphone. Giuro. Un iPhone vero, mica una copia approssimativa: lo shock mi ha spinta a controllare bene. Quello smartphone lí, di ultima generazione, costa 700 euro come minimo. E una coppia di genitori ha pensato bene di affibbiarlo al loro figlio di otto anni. Capite? Otto anni. Che al di lá del duplice insulto a crisi ed educazione, a me sembra anche un tantino pericoloso. Cioé, basta un tocco per accedere ad Internet. All'intera, gratuita, disponibile porcheria che si trova su internet. Poi quando mi vengono gli istinti protettivi io mi spavento anche, dannazione! E la sventura, poi, é lí ad un passo. Capisco quale sia non appena sento l'esigenza di ordinare un caffé. Dove per caffé si intende chiaramente “usare il bagno”. Tempo di chiedere alla cameriera se ci sia bisogno delle chiavi, e una tizia mi frega il posto. Poco male, penso. Uscirá. Invece, passano 10 minuti. Un quarto d'ora. Mezz'ora. La fila che si forma alle mie spalle si fa lunga e insofferente. Qualcuno bussa. Nessun rumore. “Ma é ancora dentro?”, chiede la ragazza al banco mentre sparge scagliette di cioccolata su di un cappuccino. Alzo le spalle. Una donna impreca. E' che ormai ho giá pagato, altrimenti me ne sarei giá andata via. Poi la tizia esce, finalmente. Solo che non scherzo, se dico che la sua faccia ha assunto colore grigio.
La puzza di vomito che mi assale non appena apro la porta scusa il suo ritardo, ma anche il mio impulso a volerla imitare. O linciare. Scegliete voi. Mi rifaccio poco dopo, ipnotizzandomi davanti a un musicista di strada. Ha parcheggiato un talento indescrivibile a due passi dal Nettuno, ed io mi perdo nella sua voce perfetta. Negli accordi modificati. Nel vibrato della chitarra che imbraccia. Lui non lo sa, che sotto a questo cielo implacabilmente azzurro, mi sta ridonando il senso del mio amore per la cittá. E il sentimento si rafforza ancora, mentre mi perdo tra i labirinti ben arredati dell'infinito consumistico di Scout. Raggiunge quasi l'apice mentre mi accorgo che il sacchetto muccato in cui avvolgo i miei acquisti odora di vaniglia. Diventa apoteosi mistica tra gli scaffali del Disco d'Oro, copia ridotta ma quasi esatta del mitico Killer Discos di Madrid. Madrid a Bologna. Tanto per voler deviare i pensieri.E, se mai ve lo steste chiedendo, tra un episodio e l'altro raggiungo anche la porta ancora chiusa della Galleria De Marchi. Sull'uscio, un uomo cordiale, capito chi sono, si scusa con me. “Avrei dovuto dipingere io il quadro ispirato al tuo libro. Solo che, sai, era troppo difficile”Sul momento non capisco. Annuisco con lo sguardo perso nel vuoto. Mi asciugo il sudore dalla fronte. E corro a rifarmi il trucco su di una panchina. Siamo soltanto a Maggio, accidenti. Possibile che il clima d'Emilia debba sempre e comunque esagerare? Mezz'ora dopo, quella porta si é aperta. L'ho varcata, leggermente emozionata, assieme a Rocco e Valeria. Mi hanno raggiunta per l'occasione, facilitati dalla residenza e forse anche un po' dal buffet. Io lo sono, almeno. Quelle pizzette lí sembrano invitanti un bel po'. Mi lancio in un veloce giro d'ispezione. Passo in rassegna le copertine dei libri. Le copie di #Odisseami urlano “mamma!” dai tavoli, ma nessuna di loro appare fotocopiata sulle pareti bianche. Sento una lievissima fitta di delusione, che però scaccio via subito. In fin dei conti, mi rimangono pur sempre le pizzette. Mi ci sto giusto avventando, quando una voce femminile mi riporta alla realtà.“Dovrei parlare con l'autrice dell'Odissea”, dice, facendo rivoltare Omero nella tomba. Alzo la mano come fossi a scuola. Poi, biascico qualcosa che vorrebbe essere una battuta. C'entra con la pizzetta. Comunque, nessuno ride. La donna si scusa per l'assenza del quadro ispirato alla mia opera. Qualcun altro dice di sentirsi in colpa perchè sono l'unica autrice presente. Mi scattano foto a ripetizione. Giro gli occhi alla ricerca dei flash. Abbraccio persone. Afferro biglietti da visita. Cerco di dare un senso a frasi su una mostra a Viterbo e sulla mia disponibiltà. Ci sono articoli annunciati e troppa sete per il vino. Ci sono sorrisi. Ci sono penne in borsetta, e cartoncini su cui annotare numeri. Ma, francamente, non è che in tutto questo io capisca granchè. Anche perchè il mio unico pensiero, al momento, è la pizzetta. Sembrava buona, cribbio. E io l'ho abbandonata. Mi sembra quasi di sentirla piangere, poverina.Quando mi libero dalle public relation, ogni avanzo di cibo è ormai stato spazzolato via. Sinceramente affranta, compro un magnete a forma di tortellino in un bar barra edicola la cui proprietaria somiglia in modo incredibile ad una mia prof dell'Universitá. Questa volta é mia madre, a ordinare un caffé. E, mentre l'aspetto fuori dal bagno, un cameriere mi investe facendo la curva ad alta velocitá. "Oddio, scusa, non ti ho vista!". Per radio, manco a dirlo, suonano i primi accordi de La Nuova Stella di Broadway. La morale é che finisco collassata sull'intercity del ritorno, dove tra un microabbiocco e l'altro scrivo all'assistente di Dani qualche frase incompiuta sugli eventuali disastri apocalittici derivati dalla collisione di due colonne sonore. Per tutta risposta, lei mi scrive che, proprio quel giorno, avevano incontrato Cremonini. E mi lascia così, proprio come io ho lasciato la pizzetta. Inerte, a chiedermi cosa mai quei due, a Jerez, potranno essersi detti. Dubbio che mi attanaglierá per tutti i secoli dei secoli, amen.