E Jones creò il mondo. Philip K. Dick
anticipa l’attuale momento storico
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Parlare di Philip K. Dick è sempre un’impresa: si rischia ogni volta di cadere nella trappola di assurgerlo a poeta maledetto della SF, nomea questa ormai conclamata e che non sorprende più nessuno, un errore quasi perdonabile. Più grave è invece ricordare P.K. Dick esclusivamente per aver dato vita al mito degli androidi di Blade Runner. L’esordio narrativo di P. K. Dick risale al 1956 con un romanzo spiccatamente orwelliano, ovvero The World Jones Made, un romanzo che l’autore evita di citare nelle memorie che sono a noi giunte; tuttavia non è da escludere che qualche inedita pagina di diario possa contenere espliciti riferimenti a questo romanzo, anche se è assai difficile, se non impossibile, crederlo.
La copertina originale del romanzo apparso nel ’56 mostra un soldato vestito con quella che potrebbe essere una tuta mimetica; il soldato abbraccia una giovane donna con un visetto acqua e sapone e gli occhioni spaventati nonostante la stretta rassicurante del soldato: sullo sfondo uomini come manichini arrabbiati marciano lungo una strada dissestata dai tafferugli, mentre all’orizzonte si staglia un grattacielo funesto alto quanto la torre di Babele, che par quasi voglia sfidare il cielo. E in mezzo al disegno spicca la faccia sfumata di quello che potrebbe essere Jones: è un volto inquietante, la fronte alta evidenzia una calvizie incipiente, e gli occhi spiritati nascosti dietro una pesante montatura di occhiali, e il naso quasi negroide – froge larghe e tese -, e labbra sottili rivelano un evidente disturbo mentale. Il volto di Jones è teso, ombreggiato: palesa allo stesso tempo potere e sofferenza, mentre quello del soldato è sì sotto tensione ma sicuro di sé, un’albagia che non è possibile non notare.
La copertina che nel 1956 proponeva al pubblico il primo romanzo di P. K. Dick descriveva bene le atmosfere inquietanti in esso contenute: Dick immagina un XXI secolo dove negli USA gli uomini seguono i dettami teo-filosofici del Relativismo di Hoff: la comunità è disorganizzata, nulla affatto unita, e il Governo detta legge e la legge viene (e)seguita senza che nessuno osi controbatterla anche quando risulta chiaro a tutti che è ingiusta. Alcuni alieni cominciano ad atterrare sulla Terra, ma presto si rivelano innocui, difatti assomigliano a delle piante aliene e nulla fa presupporre che potrebbero essere degli esseri intelligenti. Il Governo è sempre attento e vigile, controlla da vicino chi sospettato di avere poteri fuori dal comune; la III Guerra Mondiale ha prodotto esseri deformi che fanno mostra di sé nelle Fiere, e proprio in una di queste fiere un agente del Governo incontra per la prima volta un cartomante a dir poco ambiguo: questi è Jones e predice il futuro dell’umanità e non quello del singolo individuo. Jones ha la capacità di vedere nel futuro a distanza di un anno e non oltre; Jones ricorda quando è nato e quando non era ancora stato concepito, è come se vivesse la sua vita due volte e questo fatto non può che provocargli grande dolore. Tuttavia Jones sa che la sua vita – condotta su due piani temporali paralleli distanti fra di loro solo di un anno – non può che tornargli utile; quando gli alieni cominciano ad atterrare sulla Terra, il Governo vorrebbe distruggerli, ma Jones si oppone e forma una vera e propria milizia in difesa di questi esseri alieni ‘innocui’. Grazie alla sua capacità di vedere nel futuro, di averlo già vissuto, Jones riesce ad aggirare tutte le trappole del Governo e a sostituirsi ad esso. Intanto in un laboratorio sono stati creati alcuni uomini-venusiani: per la prima volta Philip K. Dick anticipa i temi della manipolazione genetica; gli uomini creati nel laboratorio non possono vivere al di fuori della loro polla che ricrea artificialmente l’atmosfera venusiana, cioè quella per cui sono stati creati. Intanto Floyd Jones è riuscito a portare dalla sua parte molti uomini, giovani e anziani, uomini di potere e soprattutto donne, che nel romanzo vengono descritte da Dick con spietata ironia, quasi ad indicarle come suffragette invasate da un idealismo romantico, e nulla o poca razionalità. Jones porta avanti il suo progetto di conquista del mondo, ma ad un certo punto si rende conto che ha fallito: entro un anno sarà morto. Sembrerebbe che il Governo costituito da Floyd Jones sia destinato a cadere, ma non è così: la sua morte non farà altro che assurgerlo a martire dell’umanità. Solo in pochi si renderanno conto che la fratellanza propagandata da Jones era in realtà una bubbola: Jones scoprendo alla fine della sua vita mortale che si era sbagliato circa le origini pacifiche degli alieni, farà in modo di eternarsi nel mito del martire, un mito immortale che nessuno potrà distruggere, neanche i suoi detrattori che conoscono la verità. E difatti la sua morte subito viene assunta ad icona: l’umanità è sconfitta, schiava di sé stessa e dell’immagine santificata di Floyd Jones. In ultimo disperato tentativo gli uomini-venusiani creati in laboratorio vengono imbarcati su due navicelle e spediti sul pianeta che li potrà ospitare, Venere. Qui i nuovi uomini, che tanto avevano sofferto per lo stato di reclusione nella polla terrestre, trovano il loro habitat naturale e danno inizio ad una nuova colonia…
Quanto Philip K. Dick descrive in questo romanzo è allarmante: sembra quasi che Jones non sia altri che lo scrittore P. K. Dick; par quasi che Dick, osservando i primi fermenti rivoluzionari degli anni Cinquanta, abbia annunciato al mondo gli anni Sessanta della contestazione giovanile destinata a risolversi in una sconfitta. Risulta lapalissiano leggendo E Jones creò il Mondo che Dick nutriva, se non sentimenti di rancore nei confronti delle nuove frange politiche rivoluzionarie, almeno uno scetticismo a dir poco cinico. Il fatto poi che la storia del Sessantotto abbia confermato molte delle ubbie dello scrittore, non può che tornagli a merito; tuttavia Dick non si è mai vantato di ciò – almeno non possiamo saperlo con sicurezza -, anzi ha recisamente evitato di parlare del suo primo romanzo in termini (fanta)politici, almeno per quanto ci è dato di sapere.
E Jones creò il Mondo è un romanzo d’esordio: rivela alcune incertezze stilistiche e risente dell’influenza caratteriale degli scrittori amati da P. K. Dick, ma è un romanzo che non lascia dubbi sul futuro maestro della SF colta; i temi anticipati in questo primo romanzo saranno quelli che nella maturità artistica dello scrittore verranno amplificati fino ad una paranoica perfezione. Se in questo caso non si può parlare di capolavoro artistico, E Jones creò il Mondo non può mancare nella biblioteca di quanti amano la SF dickiana. Anzi è il caso di dire che è indispensabile per comprendere la filosofia dickiana: un ottimo libro introduttivo al mondo di P. K. Dick per quanti ancora non hanno avuto modo di conoscerlo.
E Jones creò il mondo – Philip K. Dick – Fanucci editore – Collana Tif extra, 2012 – Curatore: C. Pagetti – Traduttore: S. Farè – pagine 214 – prezzo € 6,90
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