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E’ l’Irlanda il miglior paese al mondo. E l’Italia?

Creato il 24 giugno 2014 da Nicola933
di Francesca Abbatiello E’ l’Irlanda il miglior paese al mondo. E l’Italia? - 24 giugno 2014

IrlandaDi Francesca Abbatiello. Quando si parla di qualità della vita, si intende abbracciare la totalità dei fattori che contribuiscono a determinarla:

-Popolazione (densità sul territorio, natalità, indice di vecchiaia, carico sociale o indice di dipendenza)
-Sanità (vita media, quoziente di mortalità, suicidi, assistenza medica, livello di alimentazione);
-Istruzione (grado di analfabetismo, di scolarità, spesa per l’istruzione (in rapporto al PIL);
-Lavoro (forza lavoro per 1000 abitanti), tassi di disoccupazione, pensionamenti);
-Giustizia (litigiosità, amministrazione della giustizia, livello di criminalità, delinquenza minorile);
-Tenore di vita (ricchezza, propensione ai consumi, propensione al risparmio);
-Ambiente (stato di degrado, politiche di tutela).

L’esperto Simon Anholt quest’anno si è cimentato in un’esilarante impresa. Il giovane ha raccolto i dati di Onu, Banca Mondiale e di alcune fra le maggiori organizzazioni internazionali , sintetizzandoli nel “Good Country Index”.

Si tratta di un progetto che prevede l’analisi di 125 Nazioni, ordinate gerarchicamente proprio secondo i parametri suddetti. Al primo posto, con grande sorpresa vi è l’Irlanda perché, tra le altre cose, offre ai suoi abitanti prosperità e eguaglianza. A seguire il paese migliore dove vivere nel mondo, vi sono Finlandia, Svizzera, Olanda, Nuova Zelanda, Svezia, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca e Belgio.

Il 20esimo posto è occupato dall’Italia, che si qualifica in una buona posizione per la contribuzione data al mantenimento dell’ordine mondiale, ma in pessimo posto per il sostegno alla pace e alla sicurezza internazionale. L’Italia si ritrova davanti agli Stati Uniti, considerati quest’ultimi da sempre come terra delle opportunità e del buon vivere.

Nel fondo della classifica generale ci sono Iraq, Vietnam e Libia, segnati da conflitti e povertà.

L’esperto giovane ha dichiarato che l’indagine non aveva l’obiettivo di esprimere giudizi morali sui diversi Paesi del mondo, ma piuttosto di riconoscere l’importanza di contribuire al bene comune in una società globalizzata e di accendere un vero e proprio dibattito su quale sia lo scopo di ogni Paese.

La qualità della vita non è una condizione, ma una possibilità; non significa quindi che non includa in sé anche la sofferenza. Poter soffrire è un diritto altrettanto fondamentale, quanto quello di avere le più ampie opportunità, personali e ambientali, per costruirsi una condizione di felicità. Una migliore qualità della vita ha la diretta conseguenza della tanto ricercata felicità.

Il problema è che l’Italia non è felice, anzi ha di fronte a sé un periodo di povertà. La crisi attuale durerà ancora anni perché ci aspettano politiche di maggior rigore economico, per ridurre nel giro di pochi anni il livello di indebitamento pubblico, pervenuto a livelli insopportabili a seguito dell’aumento della spesa pubblica intercorso nell’ultimo triennio per sostenere l’economia.

Lo Stato è come una famiglia, non può vivere finanziando i consumi correnti con i debiti, a lungo andare ci si infila in un drammatico e insostenibile tunnel. Ora occorre rimediare. Un risanamento finanziario reale passa necessariamente attraverso alcune operazioni ben chiare. In primo luogo bisogna aumentare il nostro reddito nazionale e questo lo si può fare solo attraverso un modo: producendo di più.

Questa esigenza chiama in causa tutto il mondo del lavoro.

-Gli imprenditori devono avere la forza e la capacità di trovare ed attuare situazioni innovative accettando la competizione in una economia globalizzata e lasciandosi alle spalle vecchi schemi assistenzialistici ormai superati.

-I giovani dovranno cambiare la consueta mentalità italiana, uscire dal calduccio delle famiglie e dalla ricerca del posto fisso, studiare meglio e di più e mettere il bagaglio culturale acquisito e la loro energia al servizio della nascita di nuove idee imprenditoriali.

-I lavoratori dovranno lavorare di più e meglio, acquisendo un nuovo approccio culturale che difenda la dignità della persona umana sul luogo del lavoro. Sul fronte dei consumi non si tratta dunque di essere più poveri bensì di cambiare lo stile di vita adottando un insieme di consumi che permetta di mantenere inalterata la felicità pur in presenza di una diminuzione reale di reddito.

Sarebbe però sbagliato raccontare che sia l’aumento della produttività che il cambio dello stile di vita saranno operazioni facilmente sopportabili e poco dolorose. Inoltre, non sono problemi che si possono risolvere con leggi o con normative ad hoc, senza che non si sia inciso prima in quella che appare la fonte primaria di tutti i mali sociali italiani, il nostro individualismo di massa, quello che ci lascia preferire il raggiungimento del nostro interesse personale a breve termine al conseguimento a medio termine dell’interesse della comunità alla quale apparteniamo.

Occorre tornare a riscoprire principi condivisi, a ricollegare un tessuto sociale ora frammentato, a individuare i motivi di fondo del nostro stare insieme, in sintesi a riscoprire il senso del bene comune. Sarebbe un punto di partenza per far sì che l’Italia, nel prossimo Good Country Index” possa arrivare ai livelli dell’Irlanda.


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