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E infatti è così: ieri l'ambasciatore cinese all'Onu Liu Jieye affermava che «la Cina è ferma nel rispetto del principio di non interferenza nelle vicende interne agli altri Paesi e nel rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità dell’Ucraina» pur chiedendo tuttavia che i diritti di tutte le etnie ucraine siano salvaguardati. Dichiarazioni che trovano sponda negli interessi nazionali delle controversie con Taiwan e con la questione tibetana e uigura. La Cina non interferisce e gradisce che gli altri non interferiscono quando si trova Lei dentro la mischia.
Ma le parole riprese dal ministro degli Esteri russo Lavrov, frutto di un contatto telefonico con il suo omologo cinese, farebbero pensare il contrario: secondo Lavrov la visione di Cina e Russia sulla situazione sarebbe sovrapponibile.
Nessuna smentita, ma soltanto una replica fatta in un'insalata di dichiarazioni dal capo della diplomazia cinese Qin Gang, che ha sottolineato che sulla vicenda il Paese mantiene i cardini diplomatici che lo rappresentano e che comunque «nel frattempo, stiamo anche prendendo in considerazione i fattori storici e contemporanei della questione Ucraina». Come dire che «esistono determinate ragioni se la situazione è come si presenta oggi», così si legge in una nota dell'agenzia di stampa ufficiale Xinhua. Che scrive anche che deve essere superato comunque il "clima da guerra fredda", metodo con cui ci si riferisce quasi come un epiteto, alla gestione dei rapporti con la Cina da parte degli Stati Uniti.
È del tutto pensabile che la Cina possa spostare il proprio asse di interessi e di visioni, verso la Russia piuttosto che verso Occidente. Sia per la naturalità storica dei rapporti, sia per aspetti di carattere strategico e economico. L'incontro avvenuto per l'inaugurazione dei Giochi Olimpici Invernali di Sochi, tra Putin e Xi Jinping, è servito a rinnovare e rivedere i contratti di fornitura di gas. Ragion per cui, ad affari appena conclusi, la Cina non vorrà mettersi di mezzo.
Ma c'è dell'altro. Perché se è vero che la Russia è un fidato partner energetico (e strategico), Kiev riveste un ruolo analogo almeno in altri due campi. Per primo quello militare: negli ultimi due anni, l'Ucraina è diventato il quarto esportatore di armi. Non solo, la prima gloriosa portaerei dell'Esercito di liberazione, la Liaoning, arriva proprio dall'Ucraina. La costruzione della nave iniziò nel 1985 nei cantieri di Nikolaev, città situata tra Odessa e la Crimea, che accede al Mar Nero grazie alla navigabilità del Southern Buh (o Pivdennyi). Successivamente, alla caduta dell'Unione Sovietica, la nave (che ai tempi aveva il nome di "Varjag", prima ancora "Riga") era ancora in fase di costruzione - mancava la complessa apparecchiatura elettronica - e fu deciso di cederla all'Ucraina. Visto la mancanza di fondi per portare a termine i lavori, il governo di Kiev decise nel 1998 di venderla ad una società cinese, la Chong Lot Travel Agency per 20 milioni di dollari, che apparentemente avrebbe voluto convertirla in albergo (come già fatto per altre unità Classe Kiev), ma in realtà fu subito chiara l'intenzione di creare la prima portaerei della marina cinese. Dopo un viaggio problematico durato 16 mesi (dovuto ai rapporti diplomatici con i turchi, che si erano messi di traverso per impedire l'attraversamento dello Stretto dei Dardanelli), arrivò al cantiere di Dailan. Da lì in pieno stile cinese, mentre i lavori procedevano, si continuava a dichiarare che sarebbe diventata un centro d'intrattenimento, fino al 2012, anno in cui fu varata in settembre e consegnata alla Marina dell'Esercito di Liberazione Popolare Cinese (PLA-NAVY).
Il secondo campo in cui i rapporti tra Kiev e Pechino sono strettissimi, e ancora più indispensabili, è quello alimentare. Nel mesi di ottobre 2013, l'ex presidente Yanucovich aveva stretto accordi con la Cina concedendo in affitto 3 milioni di ettari (praticamente il 5 per cento del territorio nazionale, il 9 se si considerano soltanto i terreni agricoli) nella provincia orientale dello Dnipropetrovsk. La controversa operazione di landgrabbing è passata tra smentite delle parti e modifiche legislative, ma è ormai data per assodata. Tutto è stato condotto dalla Bingtuan, organizzazione economica (e semi-militare) governativa della provincia autonoma dello Xinjiang Uyghur. In cambio dell'affitto, sarebbero entrate nelle verdi casse ucraine 3 miliardi dollari concessi dalla China's Import-Export Bank. Nell'accordo la Cina aveva anche incluso semi e attrezzature agricole, e la costruzione di un impianto per la produzione di fertilizzante – all'Ucraina serve, visto che ne importa circa 1 miliardo ogni anno – e un altro per produrre sostanze di protezione per le colture. In più erano previsti anche aiuti per il miglioramento delle vie di comunicazioni con la Crimea e un ponte sullo stretto di Kerch, importante distretto commerciale sul Mar Nero. Della costruzione di un ponte a Kerch, lo stesso Putin è tornato a parlare in questi giorni, promettendolo alla Crimea.
La necessità di far fronte al fabbisogno alimentare - la cosiddetta "indipendenza alimentare nazionale" - è un mantra cinese. Non a caso in questi giorni, la più grande impresa alimentare, la COFCO Corp, sarebbe in trattative per l'acquisizione dell braccio alimentare del Noble Group - conglomerato industriale con sede ad Hong Kong che gestisce catene di approvvigionamento globale, che vanno dall'agricoltura al settore energetico e minerario. Per COFCO, sostenuta dalla Stato, si tratterebbe della seconda grossa acquisizione nelle ultime due settimane: pochi giorni fa infatti, ha preso il controllo di un pacchetto azionario equivalente al 51 per cento della Nidera, azienda olandese che si occupa del trading di cereali.
La gestione cinese della crisi ucraina passa soprattutto attraverso questi due - pragmatici - aspetti. Sebbene non ne va sottovalutato un terzo. Le proteste di piazza che hanno portato al rovesciamento del regime in cui si era trasformata la presidenza di Yanucovich, passano per la Russia e si avvicinano geograficamente al territorio nazionale: l'obiettivo, sarà anche quello di tenere le manifestazioni e le rivolte, lontane dalle teste e dai cuori dei propri cittadini. Il rischio, la paura, è che qualcuno si alzi la mattina e inizi a pensare che il governo centrale possa essere destituito - e in qui, di sicuro, i cinesi e i russi si troveranno visioni molto condivise.
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