Invidio forte le persone che riescono d’amblais a metter giù su carta qualunque riflessione li attraversi. Simenon componeva un libro la settimana, a mia madre occorrono cinque minuti per stendere la lista della spesa. Io mi prendo dei tempi biblici che Mosè con le tavole della legge era uno stenodattilografo a confronto. Sembro un elefante in sala parto, per sgravarmi occorrono borborigmi e lambiccamenti. Mi sono diagnosticato una sindrome ossessiva (cosa diceva Silvio Orlando in Il Portaborse a proposito di Manzoni?): sciacquo e risciacquo i panni nel Po come una lavandaia che, naturalmente, a treuva mai la buna pera.
Per giunta, patisco blocchi incredibili. Sono assolutamente negato per quei messaggi d’auguri che ci si manda a natale o in occasione di un compleanno. Non so mai cosa scrivere. Vorrei evitare le frasi fatte, fritte e rifritte, i luoghi comuni, le espressioni già frequentate, ma non mi viene in mente mai nulla di divertente. Anzi, non mi viene in mente proprio nulla. Tabula rasa. E ogni volta vengo accusato di non curarmi del prossimo…
Non è così. Non sono bravo ad improvvisare le bon mot che vorrei, che spesso arriva a busta ormai sigillata. Esprit d’escalier, lo chiamano i francesi: la battuta efficace arriva in ritardo, quando ci si ritrova già per le scale. E adesso che questo spazio riservato ai blog sta per chiudere (<< È La Stampa, bellezza, e tu non ci puoi fare niente >>), mi mancano le parole giuste. È strano salutarci e andare via così, pur sapendo che la ragnatela del web possiede mille filamenti e ci si può ritrovare ovunque. Sarà così, ed è confortante saperlo.
Ora passo il post al correttore automatico, e sto a vedere quanti vocaboli giusti corregge. Questa è la parte che mi diverte e mi fa disperare di più.
Eh eh. Lo dicevo io…