Sto riflettendo su alcune teorie che circolano in rete in questi giorni, parole equilibrate o deliranti che, però, in sostanza, dicono la stessa cosa: ci sono troppi brutti libri in giro, noi scrittori dovremmo smettere di pubblicare, dedicarci allo studio, all’affinamento, alla lettura, per non finire spalmati, dispersi e confusi nel magma dei mediocri.
Mi starebbe bene, se lo facessero tutti, anche i pessimi, ma questi, appunto perché pessimi, sono convinti di essere già a posto, che non c’è bisogno di studiare perché chiunque di noi ha diritto di esprimersi e diventare un divo. Forse, inconsciamente, sentono che sarebbe fatica sprecata, che le loro lacune sono talmente ampie da non essere rimediabili.
Poi, ovviamente, ci sarebbero i bravissimi, i premi Nobel, i quali, giustamente, continuerebbero a produrre, consapevoli delle loro capacità.
Alla fine, a rinunciare, saremmo solo noi, i medi, quelli di qualche talento e di molte ambizioni, quelli consapevoli dei propri limiti, pieni di dubbi, insicuri di se stessi e del significato generale della scrittura.
Il divario fra la buona e la cattiva letteratura si amplierebbe sempre più e il mondo si riempirebbe di qualche libro bellissimo e di molti libri orribili, senza più vie di mezzo.