È morale che un governo leda la Costituzione?

Creato il 15 maggio 2015 da Libera E Forte @liberaeforte

di Gaspare Sturzo

Sono passati pochi giorni da quando la Corte Costituzionale ha affondato un aspetto del lacrimevole lodo Fornero/Monti, di cui al decreto Salva Italia del 2011, per aver sacrificato “irragionevolmente” il diritto di un certo numero di pensionati italiani, con la pensione tre volte superiore alla minima, in nome di “esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”, compromettendo il loro diritto, costituzionalmente tutelato, ad avere una prestazione previdenziale adeguata (sent. 70 del 10.3.15).

Pochi giorni sufficienti a un sottosegretario dell’attuale Governo per diffondere l’idea che sia immorale restituire il maltolto agli italiani, quanto alla criticata sentenza della Suprema Corte, senza prima provvedere – sembra di capire – ad un’altra “sforbiciata”.

Certamente, è importante il rapporto intergenerazionale tra ingresso al lavoro, stipendi e pensioni, quel che non si comprende è come sia possibile non solo adottare riforme prima potenzialmente incostituzionali e, poi, quando dichiarate tali, non chiedere scusa alle persone danneggiate, ma rivendicare una supremazia morale, da esercitare con una nuova norma di legge, potenzialmente viziata d’incostituzionalità.

Tanti si sono prodigati ad esaminare le ragioni dell’incostituzionalità richiamata (vedi tra i commenti più chiari Gentili su IlSole24ore del 7.5.15). Ciò che invece noi studiosi del popolarismo sturziano vorremmo far notare È IL DISVALORE DI UNA CATTIVA NORMA che illogicamente viola il principio di uguaglianza, il divieto di introduzione di ostacoli economici che possano limitare le libertà dei cittadini (art.3 Cost.), il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro praticato (art.36 Cost.), il diritto dei lavoratori a una previdenza adeguata alle loro esigenze di vita (art.38 Cost.).

In sostanza, stando alla decisione della Corte, a noi non sembra morale e tantomeno logico, e anche costituzionalmente accettabile che, a fronte di uno stipendio qualificato dalle funzioni svolte e dal meritevole impegno prestato, parte essenziale di una certa condizione di vita del lavoratore attivo, sulle quali sono state pagate in generale fior di tasse, qualcuno possa arrogarsi il diritto di “sanzionare” il pensionato eliminandogli per sempre la perequazione al costo della vita e al potere reale di acquisto della moneta.

Si obietta come i tagli siano stati imposti dalla necessità DI SALVARE L’ITALIA dall’occhio severo della “Troika”, altri dal dissesto del bilancio pubblico e, qualcuno, dai conti sempre in disordine dell’INPS.

Certo ci piacerebbe osservare che per salvare il rapporto intergenerazionale, rimettere a posto i conti dello Stato, dare fiato a quelli dell’INPS, ciò che serve è nuovo lavoro, nuova imprenditoria, nuovi investimenti pubblici e privati, nuovo capitale circolante fuori dall’indotto del sistema euro conservatore dell’emissione dei titoli di Stato e delle banche investitrici a rischio zero. Ma tale equazione richiederebbe la coscienza di sapere riconoscere i fattori della produzione, le esigenze dei territori, le forze imprenditoriali presenti, le criticità di una classe dirigente e politica che rallentano il rilancio del paese. In sostanza, un nuovo progetto sociale che abbia come fine il Bene Comune e l’interesse generale.

Qui casca l’asino! DICE DON STURZO CHE PER REALIZZARE QUESTO “UTILE COLLETTIVO” SERVE UNA POLITICA RAZIONALE. Cioè, che sappia calcolare i vantaggi della propria azione guardando ai pro e i contro di ogni scelta che adotta; o meglio, nel nostro caso, andare oltre l’utile immediato di aver saputo aggiustare il bilancio con una forzatura incostituzionale, quando questo vantaggio è acquisito in modo eticamente immorale ai danni del diritto di chi ha difficoltà a difendersi innanzi a un decreto legge poi convertito, magari a suon di fiducia o sull’onda della propagandata tragedia immanente.

SOSTIENE DON STURZO: “il fine dell’economia è l’utile economico; nessuno potrà ammettere che il furto e la frode siano mezzi idonei a procurare un vantaggio economico e, quindi, ammissibili, proprio perché nel ledere l’interesse dei terzi, il furto e la frode sono atti ingiusti e pertanto immorali. Lo stesso deve affermarsi per la politica.

Se mancare a un patto (contro la teoria pacta sunt servanda) può recare un presunto vantaggio al Paese fedifrago, non per questo ne è ammissibile la violazione che lede il diritto e i rapporti internazionali”. (Luigi Sturzo: Politica e Morale p.211.)

IN CONCLUSIONE, IMMORALE NON È RESTITUIRE IL FRUTTO ILLEGITTIMO DELL’ATTO INCOSTITUZIONALE, CIOÈ IL MALTOLTO PENSIONISTICO, MA TENTARE DI PERSEVERARE UMILIANDO LA FUNZIONE DELLA CARTA COSTITUZIONALE E LA RILEVANZA ISTITUZIONALE DELL’ATTO DEI GIUDICI COSTITUZIONALI.

Occorre dire che la tentazione politica della continuità nella violazione dell’ordine costituzionale, quanto alla norma che alla sua sentenza, non ha nel nostro ordinamento un bilanciamento in una sanzione al Governo che ha sbagliato, o che intende perseverare nel medesimo errore. LA CORTE COSTITUZIONALE – PURTROPPO – NON HA DALLA SUA IL POTERE DI SANZIONARE L’AUTORE DELL’ATTO INCOSTITUZIONALE, TANTO QUANTO AL DANNO DIRETTO AL BILANCIO DELLO STATO, CHE ALL’IMMAGINE INTERNAZIONALE DEL PAESE. Così possiamo leggere sgomenti che, se inizialmente sarebbero stati sottratti agli aventi diritto cinque miliardi, il rimborso ora potrebbe potenzialmente arrivare a tredici. Danaro che non sarà richiesto a chi ha sbagliato (interverrà la Corte dei Conti?), ma sarà corrisposto sotto forme di imposte da chi paga le tasse e, per ironia, in quota maggiore da chi ha i redditi più alti, tra i quali i pensionati sottoposti prima all’iniquità incostituzionale e ora alla gogna mediatica. IN SOSTANZA, DIO SALVI LA COSTITUZIONE, L’AUTONOMIA E INDIPENDENZA DEI SUOI GIUDICI.


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