E' morto Francesco Cossiga: me lo ha detto l'iPhone. Aveva 82 ed è la conferma che puoi passare indenne la stagione delle Br e di Gladio, puoi essere amico dei servizi segreti, puoi essere un sardo di quelli tosti ma l'immortalità non è di questa terra.
E' morto Cossiga ed è l'unico cognome che qualcuno si ostina ancora a scrivere con la K, altri alla doppia esse preferiscono le ss in stile "camice brune", germania hitleriana, giusto per evidenziare quanto l'uomo fosse di quelli che dividono un Paese. Personalmente lo incrociai un paio di volte, da presidente emerito ad una assemblea annuale della Compagnia delle Opere di Brescia in cui, da grande affabulatore, ci intrattenne su tutto e di più, e da presidente della Repubblica in carica, quando, negli anni da picconatore, per conferire con Mino Martinazzoli, trattenuto a Brescia dalla morte della madre, si fece "paracadutare" lungo la rotta per il Trentino dove era diretto per un impegno ufficiale, all'obitorio dell'Ospedale civile di Brescia, dove era allestita la camera ardente. Ricordo il suo "Ciao Minno" con un'inflessione sarda da manuale e il lungo colloquio in un ufficio, deserto visto che era una domenica mattina, dell'amministrazione del nosocomio cittadino. Ricordo sorridendo i bresciani in visita parenti che chiedevano curiosi ragione di quel biscione di quaranta auto blu che ingolfava i viali interni all'ospedale e i poveri agenti della guardia presidenziale che faticavano a gestire la sicurezza di quel inatteso fuori programma, tanto che, nonostante la rigidita del protocollo, mi ritrovai fortunosamente ad attendere il Presidente appoggiato alla portiera della sua auto, senza che nessuno mi chiedesse cosa ci facessi lì.
Amato, odiato, comunque un personaggio, un navigatore di mari limacciosi, una carpa che sa sopravvivere nel fango e si esalta nelle acque limpide: ma chi era Francesco Cossiga?
A lui Mino Martinazzoli dedica più di un passaggio della sua autobiografica "Uno strano democrestiano". Cossiga era quello che lo confortava quando, da presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sullo scandalo Lockheed, il parlamentare bresciano stava per imbarcarsi su un aereo (leggendario il terrore per il volo di Martinazzoli) alla volta degli Stati Uniti ("Vedrai che torni, vedrai che torni" ripeteva nel tragitto verso Fiumicino tenendogli quasi la mano). Ma Cossiga era anche la scheggia impazzita dell'universo Dc. "Siamo amici - spiega Martinazzoli - anche se non sempre condivido le sue idee. ma del resto l'amicizia vale più delle opinioni politiche. Nell'ultimo periodo della sua presidenza Cossiga ha avuto con la Dc rapporti tutt'altro che sereni. Fu uno dei protagonisti del passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Era la voce che, dall'interno, gridava che il re era nudo. Naturalmente ai suoi amici non poteva non apparire una sorta di tradimento in un momento nel quale occorreva essere uniti e convinti in una battaglia da intraprendere. Del resto, se parlo della mia esperienza, devo dire che non l'ho certo trovato d'accordo nel momento in cui ho tentato l'estrema resistenza alla guida del Partito popolare".
IL COSSIGA- PENSIERO
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