“Non ho più avuto una vita normale. Non ho mai potuto dire che tutto andasse bene e andare, come gli altri, a ballare e a divertirmi in allegria…
Tutto mi riporta al campo. Qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre allo stesso posto. È come se il “lavoro” che ho dovuto fare laggiù non sia mai uscito dalla mia testa…
non si esce mai, per davvero, dal Crematorio”.
Sono parole di Shlomo Venezia, morto a Roma a 89 anni. Scrittore sopravvissuto alla Shoa, deportato ad Auschwitz nel 1944, unico reduce in Italia delle Sonderkommando, le squadre speciali che erano costrette ad occuparsi dello “smaltimento” e della cremazione degli altri deportati sterminati nelle camere a gas. Testimone di quell’orrore indicibile, Shlomo non ha mai smesso di raccontare e testimoniare “l’ultimo gradino dell’Inferno” che l’umanità ha conosciuto con l’Olocausto.
A.M.R.