Astariti non è bravo, Astariti è un "primo della classe". Astariti non c'ha i capelli tagliati alla mohicana, non si veste come il figlio di uno spacciatore, non si mette le scarpe del fratello che puzzano. Astariti è pulito, perfetto. Interrogato, si dispone al lato della cattedra senza libri, senza appunti, senza imbrogli. Ripete la lezione senza pause: tutto quello che mi è uscito di bocca, tutto il fedele rispecchiamento di un anno di lavoro! Alla fine gli metto 8, ma vorrei tagliarmi la gola! [...] Ma perché Astariti è la dimostrazione evidente che la scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno!
Riconoscete questa citazione? E del film La Scuola, del 1995, regia di Daniele Lucchetti, con Silvio Orlando, Anna Galiena, Fabrizio Bentivoglio. Un filmone, se devo esprimere il mio giudizio spiccio. Il quadro più verosimile della situazione scolastica italiana degli ultimi 30 anni, o forse più.
All'inizio dell'anno scolastico 2013/2014 la situazione scolastica italiana non pare essere tanto diversa da quella immortalata con ironia e sarcasmo dal film di Lucchetti, anno domini 1995. Certo, la mia è una valutazione da esterno, non avendo figli o nipoti che frequentano le superiori.
La citazione di inizio post mi sembra però perfetta per descrivere i meccanismi che regolano l'istruzione pubblica, e forse anche quella privata, in Italia.
Mi piacerebbe sbagliarmi (e sbagliarmi tanto!) ma non riesco a trovare granché di educativo o di evolutivo nella scuola.
Forse è l'approccio a essere arcaico, forse il gap generazionale è andato così oltre che oramai risulta incolmabile.
Forse - probabilmente - dei tentativi vengono anche fatti. I professori in gamba e volenterosi ci sono, ma i problemi sono a monte. Quasi insormontabili, a partire dai tagli continui ai fondi, per arrivare a certe persone che occupano impunemente certe cariche.
Si parla tanto di introdurre gli eReader alle superiori, ma poi, se si guarda la lista dei libri di cui è consigliata la lettura, i titoli risultano sempre quelli dell'immediato dopoguerra. Ok i classici, che devono essere conosciuti - ma soprattutto compresi - ma sarebbe interessante anche tentare un approccio alla lettura più moderno. Magari si potrebbe partire da titoli potenzialmente più interessanti per dei ragazzi, o magari anche da fumetti e da cose del genere. Invece no. Si predilige il classico "imparare a memoria", l'analisi del testo fredda e monotona, un tanto al kg di grandi classici che potrebbero essere amati, e che invece vengono trasformati in obiettivi di puro odio.
Ma questo dei libri è solo un esempio, il primo che mi è venuto in mente. La punta di un'intera flotta di iceberg.
Più genericamente si potrebbe parlare di una scuola che non fa minimamente innamorare gli studenti di tutto ciò che è cultura o creatività. Sicché, come dice Silvio Orlando nella citazione di inizio post, a emergere (ma spesso in modo robotico, automatico) sono coloro che già sono portati allo studio. Gli altri? Peggio per loro. Che apprendano quel poco che basta per superare l'esame di maturità, e che poi "imparino a stare al mondo".
Che poi è anche vero che poi uno, se vuole, recupera da solo il tempo perso. Ne conosco parecchi, di giovani somari che, usciti dalle superiori a calci nel sedere, hanno scoperto l'amore per la cultura all'università (o addirittura da soli). Però quel "da soli" stona parecchio, nel contesto di uno dei più importanti impegni che il paese dovrebbe mantenere col suo popolo, vale a dire quello dell'istruzione.
Ma vale anche per un paese che per anni ha fatto passare il messaggio che essere ignoranti in fondo non è così male? L'importante, per tutta la nostra classe dirigente, è infatti essere furbi, non dimostrarsi intelligenti.
Questo orrido concetto è poi scivolato giù, come un veleno, in tutte le classi sociali. Vi sarà capitato di sentire qualche individuo di mezza età che critica " questi ragazzi che vogliono per forza studiare", aggiungendo poi " al posto di fare i muratori/camerieri/operai" etc etc.
Come se studiare fosse appunto un lusso snob per perdere tempo senza guadagnare il pane quotidiano.
E qui torniamo all'essere furbi: è preferibile infatti industriarsi per gabbare il prossimo, magari ottenendo un posto di lavoro con la classica spintarella, magari senza saper fare nulla (al limite si scarica il fastidioso lavoro sul collega di turno).
Aderire al modello standard, di cui abbiamo già parlato.
Studiare senza appassionarsi.
Lavorare come automi - odiando ogni singolo minuto trascorso in fabbrica o in ufficio.
Rimanere "beduini" dentro, e godersela col minimo sindacale del cervello acceso, quando si può.
Il sistema ha funzionato per anni, fin quando questo paese ha potuto permettersi il lusso di una classe dirigente irresponsabile e inetta, senza un'oncia di visione del futuro. Tutto il resto del paese si è rimodulato su questo schema.
E ora che le cose non vanno più bene?
Ora che siamo costretti a competere, e quindi a schierare delle menti brillanti, forgiate da una preparazione scolastico/universitaria moderna e ineccepibile... che facciamo?
Alla fine sembra quasi che l'andazzo sia quello di seguire il mantra citato nel titolo di questo articolo: è nato beduino? E beduino resta!
Citazione presa sempre da quel gioiellino che è La Scuola.
Dove tra l'altro c'è un'altra frase cult che fa la summa di tutto questo discorso che non arriva da nessuna parte. E quella del cinico professor Mortillaro (sì, quello dei beduini): La scuola è una guerra!
Sì, ma contro chi?
Contro noi stessi, probabilmente.
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