Da li a tracciare gli argomenti che avrebbero potuto interessare i nostri lettori il passo è stato breve: le tazze erano ancora piene oltre la metà quando i punti da sviluppare erano diventati così numerosi da traboccare dalla carta a disposizione. I grandi temi nazionali e internazionali si intrecciavano sempre più con i fatti che segnano nel bene e nel male i nostri territori: l’Europa, Expo, la crisi economica, la disoccupazione, le nuove povertà e tanti altri temi diventavano così degli enormi contenitori in cui inserire le piccole e grandi vicende che scandiscono la vita quotidiana delle comunità locali.
Eppure la fase “tempesta e impeto” si arrestò quando ci accorgemmo che il termine “glocale” era stato coniato già da alcuni anni.
In ogni progetto è necessaria una fase più lenta e razionale di profonda riflessione nonchè di consultazione dei progetti editoriali già presenti. Di certo non volevamo proporre un’inutile copia di quello che c’era già! Pagammo i nostri caffè americani e tornammo con i piedi per terra sul selciato di via Dante con la promessa di rivederci da li a qualche giorno. Le sorti dei quattro amici al bar di Gino Paoli non ci aggradavano. Serviva un progetto valido, di ampio respiro.
Sebbene il termine “glocale” sia abbondantemente utilizzato nella rete, il concetto trova ancora difficoltà di applicazione in progetti concreti. È di solo due mesi fa lo svolgimento del festival del giornalismo “Glocalnews” (12-16 novembre) organizzato dalla testata “Varese news” che ha proposto dibattiti, approfondimenti, momenti di incontro e formazione sull’argomento. Destinatari privilegiati le nuove generazioni di comunicatori.
Lo stimolo a formare una nuova generazione di comunicatori “glocal” arriva in particolare dalle testate giornalistiche locali le quali se, da un lato consolidano la propria ragion d’essere nella necessità delle piccole medie comunità di trovare punti di riferimento condivisi, dall’altro comprendono benissimo come sia importante fare un prodotto di qualità assai lontano dai titoli scandalistici, dai luoghi comuni, dalle semplificazioni e dai copia-incolla dei comunicati stampa o da Wikipedia.
La realtà proprio perché “glocal” è diventata molto complessa. Per descrivere e comprendere gli attori della società moderna e le relazioni tra questi sono necessarie riflessioni attente supportate da documenti e fonti certe.
In questo contesto Cesano Boscone ha dimostrato sempre una grande vitalità aggregativa in particolare in ambito sociale e culturale dove l’associazionismo è ancora capace di proporre progetti e programmi al servizio della collettività.
La presenza della Fondazione Sacra Famiglia, sin dalla fine dell’Ottocento, unitamente al grande passato da Pieve dell’Arcidiocesi di Milano e a un eccezionale repentino incremento della popolazione emigrata da tutta Italia negli anni Sessanta – che ha radicalmente trasformato il territorio, un tempo prettamente agricolo – fanno di Cesano Boscone un “ecosistema” originalissimo dove tante diversità hanno dovuto convivere.
Questo tessuto sociale oggi si scontra con i problemi globali legati, in ultima analisi, all’imbarbarimento del mondo del lavoro e a una società che fatica a trovare delle soluzioni pragmatiche calabili nei diversi contesti. Ecco, allora, che le generazioni dei trenta-quarantenni faticano a conciliare l’irrinunciabile e doverosa cura della famiglia con l’impegno rivolto verso la collettività e il bene comune, lasciando troppo spesso che le cose procedano secondo il volere di pochi che hanno, invece, tanto e troppo tempo libero. Viene, dunque, meno l’auto-controllo della comunità derivante dal naturale rinnovo delle energie.
Vogliamo raccontare la “comunità” nella quale viviamo con un approccio globale provando, cioè, a cercare soluzioni ed esempi guardando il più possibile oltre i confini e oltre quella nebbia che talvolta avvolge anche le vecchie novità.
La parola “comunità” è troppo spesso associata a un luogo “soffice”, quasi ameno, rispetto ad un esterno minaccioso e ignoto. E chi l’ha detto che, invece, le minacce alla comunità non provengano proprio dal suo interno? Amicizie e rapporti personali declinati in modo eccessivamente meccanicistico (o machiavellico?!) possono condurre a ingiustizie insopportabili e a una certa difficoltà nell’adozione di strumenti innovativi portatori di efficacia ed efficienza a beneficio di tutti. Le comunità eccessivamente chiuse, ripiegate su stesse che selezionano sempre le stesse ricette e gli stessi riti, faticano a mettere in campo nuove energie adatte a rispondere ai cambiamenti globali in cui la comunità si trova comunque immersa.
Le scienze ormai hanno ampiamente dimostrato che gli esseri viventi più sani e robusti, pronti all’adattamento, cioè all’evoluzione, derivano da genitori geneticamente molto diversi tra loro. Principio che vale tanto per le piante, quanto per gli animali.
Analogamente, in natura, le comunità più stabili, capaci cioè di non essere compromesse da eventi traumatici e improvvisi, sono proprio quelle più complesse particolarmente ricche di specie animali e vegetali, nonché caratterizzate da una notevole varietà di ambienti, ognuno adatto a categorie differenti di abitanti.
Abbiamo preso “in prestito” dalle Scienze biologiche il concetto di ecosistema che comprende l’insieme delle infinite relazioni esistenti tra gli elementi naturali (acqua, aria, terra) e gli esseri viventi (piante, animali e microrganismi) che descrivono e popolano uno spazio definito. L’insieme, appunto è una parola per noi chiave. Descrivere anche la più piccola comunità locale senza essere obbligati ad allargare i propri orizzonti e considerare, quindi, un insieme più ampio di variabili e di soggetti è diventata, nella realtà di oggi, cosa quasi impossibile. Soprattutto per chi vuole informare, riflettere e proporre.
Insomma, una convinta apertura verso l’esterno, il diverso e verso gli altri è indispensabile per leggere e interpretare gli avvenimenti a prescindere da dove essi accadono. Non si tratta di un semplice e banale elogio alla tolleranza delle diversità. Per raccontare la realtà è necessario spogliarsi degli schemi fissi e immutabili che le esperienze passate ci hanno proposto. In caso contrario, diventeremmo dei tifosi di quello o di quell’altro schema, dei servitori di quello o di quell’altro leader. Non è così che le idee diventano ideologie? Non è così che diventiamo pedine inconsapevoli dei disegni altrui?
La redazione di EcoSistema è formata da persone diverse per età, formazione, orientamento ideale e interessi. Cercheremo di raccontare quanto avviene a Cesano Boscone e nell’infinito EcoSistema circostante con particolare attenzione alla forza dirompente della cultura, alla formazione e agli effetti positivi che la ricerca e l’innovazione possono portare all’utilizzo delle risorse naturali, al mondo del lavoro e all’economia.
Sebbene le risorse finanziarie siano oggi molto limitate, non ne siamo minimamente preoccupati!
Confidiamo nel capitale umano e nella forza delle idee che non ci mancano.
Non vogliamo fare di EcoSistema il nostro “giocattolo”, bensì una voce autorevole e non omologata dove tanti possano riconoscersi.
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