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E’ notte sulla Terra

Creato il 02 aprile 2012 da Albertocapece
E’ notte sulla TerraAnna Lombroso per il Simplicissimus La notte tra sabato e domenica si è consumata la liturgia dell’Ora della Terra 2012, l’appuntamento annuale promosso dal WWF per sensibilizzare al risparmio energetico e alla riduzione dell’inquinamento. Così si è trattato l’ambiente con la frettolosa e occasionale attenzione colpevole che si attribuisce a altre cause, commemorative perché altro non è che una giornata della memoria come tante, o benefiche come l’elargizione a un TELETHON globale da scaricare dalle bollette e dalla cattiva coscienza. Per carità, non si deve negare a nessuno un gesto simbolico, ma altro ci vuole per alimentare la consapevolezza che va interrotta la corsa folle alla crescita dissipata e senza limiti così estemporanea, folle e suicida qui da noi, ma il cui modello viene replicato nei paesi cosiddetti emergenti (i quali hanno ritmi di sviluppo accelerati solo perché sono partiti da zero, o quasi); mentre da noi quel meccanismo è ormai irripetibile anche in paesi considerati locomotive del mondo. Come se fosse realistico continuare a moltiplicare la produzione di automobili, di elettrodomestici, di gadget elettronici, in mercati ormai saturi e gravati da eccesso di capacità secondo il Marchionne-pensiero; di articoli di lusso in un mondo in cui i ricchi non sanno più che cosa comprare perché hanno già tutto e di più (mentre le produzioni a basso costo sono state delocalizzate in paesi emergenti); di turismo in ambienti naturali sempre più degradati e, perchè no? di Grandi opere. Me li immagino spegnere religiosamente la luce gli stessi che fondano la loro idea di crescita su finanziamenti pubblici (spesso contrabbandati come finanza di progetto); su catene senza fine di subappalti (con conseguente corruzione, evasione fiscale, caporalato e mafia; su guasti irreversibili ai territori; su illusorie promesse di lavoro e sviluppo seguite dall’abbandono di territori e tessuti sociali degradati. Il Tav in Val di Susa ne è il paradigma.
E mi immagino affidare la tutela dell’ambiente – che pare vada sospesa “ragionevolmente” il tempo di crisi- a quel gesto rituale di spegnere la luce anche chi ha deciso i tagli degli incentivi alle rinnovabili.
È che la loro “crescita”, quella che verrà in seconda battuta, dopo, oltre, forse…se sarà, sarà solo il naturale prolungamento di quel “progresso” aberrante che non riguarda quindi né l’occupazione (c’è da tempo un disaccoppiamento tra occupazione e aumento del Pil, dei fatturati e dei profitti); né la qualità del lavoro (è sempre più precario in tutto il mondo e si investe sempre meno in formazione); né i redditi da lavoro diretti o differiti (le pensioni); né il benessere delle comunità, messo sotto scacco dal degrado ambientale, dal taglio dei servizi e del welfare, dall’aumento delle persone disoccupate, esodate, scoraggiate o emarginate (sospinte sempre più numerose sotto la soglia della povertà). Ma sarà, se sarà, un gigantismo irregolare e iniquo, affidato ai meccanismi di mercato e finanziari, scollegato e indifferente alle politiche industriali e all’economia reale. Il rifiuto della concertazione a tutti i livelli con le parti sociali o con i territori ne è il fisiologico riscontro, con il rifiuto dell’intesa come composizione degli interessi, della partecipazione ai processi decisionali e alla gestione delle attività, in modo che sia solo l’impresa e comunque il “privato” ad avere il controllo assoluto. Le privatizzazioni sono la traduzione di questa logica, mediante il trasferimento della sovranità da quel che resta degli istituti della democrazia rappresentativa al dispotismo di imprese sempre più grandi, potenti, centralizzate, lontane dai territori e dalle comunità., in un processo vizioso che smantella quanto di pubblico, condiviso, egualitario è stato conquistato negli anni: beni comuni, suolo, acqua, aria, approvvigionamento e distribuzione di servizi e energia, come i saperi, la conoscenza, l’informazione.
Premere l’interruttore, togliere la corrente, si, è il caso di farlo. Ma questo modello di sviluppo, a premier che comandano ma non governano, a chi vorrebbe interpretarci ma non ci rappresenta, a un mercato che è come Dracula e che si riprende per un giorno grazie al sangue che ha succhiato, per volerne sempre di più, al feticcio dello spread che serve solo questo e rendere possibile quel dissanguamento che l’eufemismo economicistico chiama “riforme” e “modernizzazione”. Spegnerli stavolta significa fare luce.

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