E dunque, oggi va di moda parlare di autori bravi, ma furbetti. Di romanzi riusciti o quasi riusciti, non fosse per un eccesso di furbizia, equivalente, pare di una smodata voglia di compiacere il lettore. E di quindi di un uso e abuso di trucchi vari, quali quelli citati da Alessandro Beretta in I furbetti della narrativa, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera: e dunque, temi troppo di moda inseriti a forza e vari escamotage stilistici.
Svariati i commenti a proposito, come quello di Goffredo Fofi: I veri furbi sono gli editori. O come quello di Massimo Onofri: Lo scrittore surroga l'ispirazione con il tema o con la moda del momento. Peccato che la cosa non funzioni come per l'evasore fiscale che fa il furbo e ci guadagna: lo scrittore che fa il furbo si depaupera e umilia se stesso.
Tutto vero, penso, eppure non riesco a cogliere bene il senso della cosa: come se fosse un eccesso di furbizia sforzarsi di scrivere cose che possono piacere; come se a fare la differenza, alla resa dei conti, non fosse il gusto del lettore; come se stringi stringi a contare non sia solo questo: furbo che sia, questo romanzo, è bello o brutto?