L’aria di Bologna era liquida come al solito.
Al suono della campanella si alzò un boato di sedie che venivano spostate e passi che si precipitavano verso l’uscita, e per un attimo Luca pensò che fosse quello a far tremolare gli edifici e non l’umidità. Quando riconobbe i due codini che svolazzavano dietro la testolina bionda della figlia in quel mare di grembiuli, il suo volto si aprì in un sorriso così radioso da rivaleggiare con quello dei bambini che avevano invaso il cortile di fronte alla scuola, e si dimenticò del sudore che gli bruciava gli occhi azzurri colando dai capelli color grano. Lucia gli si lanciò addosso come un dardo, cingendogli la vita.
«Che muscoli, papà» gli disse.
«Ciao amore» la salutò lui chinandosi per baciarla sulla fronte dopo averle spostato la frangetta. Rialzandosi le prese lo zainetto e se lo portò dietro la spalla, mentre con la mano libera le accarezzò la nuca. Non la tolse finché non ebbero attraversato la strada e si furono inoltrati lungo la via in cui aveva parcheggiato la sua auto elettrica. Fece una pernacchia quando Lucia ridacchiò come di consueto quando la vedeva.
«Siete andati avanti in Storia?» le chiese mentre si allacciava la cintura.
«Abbiamo finito i Cretesi.»
«Ancora?!» sbottò Luca così d’improvviso che sua figlia sobbalzò sul sedile. «Al consiglio di classe avevano detto che sareste stati più avanti a quest’ora! Sarete la quarta elementare peggiore di Bologna…»
«La maestra ha detto che li facciamo queste due ultime settimane.»
«Eh, per forza» commentò deluso fermandosi a un semaforo rosso. «Hai tanti compiti per lunedì?»
«Solo Matematica e Inglese, però domani abbiamo Geografia.»
«Non importa, oggi pomeriggio facciamo quelli che hai e domani non ci vai, a scuola.»
«Ma io ci voglio andare, papà,» protestò Lucia mentre ripartivano, «a me piace imparare!»
«Brava,» le disse il padre arricciando le labbra soddisfatto, «più cose sai e meno ti si può prendere per il culo.»
La bambina scoppiò a ridere per quella volgarità gratuita, e lui rise con lei.
Un paio di chilometri fuori le mura parcheggiò nel garage sotterraneo del suo palazzo e presero l’ascensore. Durante la salita Luca le raccontò un paio di barzellette e quando non rise le fece il solletico. Le porte si aprirono al loro piano mentre la teneva a testa in giù scuotendola per le gambe. La vedova Bianchi-Carboni, la pensionata vicina di pianerottolo che stava aspettando l’ascensore col sacchetto dell’umido per andarlo a gettare nel locale accanto ai quadri elettrici, si limitò ad alzare un sopracciglio.
«Buongiorno, signora» la salutò Luca, accaldato.
«Giorno ‘gnora!» gli fece eco Lucia mentre teneva ferma la maglietta che le ricadeva sulla faccia paonazza, i codini che strusciavano sulla moquette della cabina. «Lo butti tutto, il rusco!»
Le labbra della signora Bianchi-Carboni si contrassero, poi si spalancarono per una grossa risata a cui si unirono anche gli altri due.
Nel vecchio appartamento, Lucia corse subito in bagno a lavarsi le mani mentre il padre, posato lo zaino all’ingresso, andò in cucina, stretta ma luminosa.
La voce della bambina anticipò il suo arrivo. «Posso accendere la tivù intanto che prepari?»
«È pronto» ghignò Luca scorgendo lo sguardo deluso della figlia mentre entrava. «Ho apparecchiato prima di venirti a prendere e ho fatto l’insalata di riso dopo che sei andata a dormire ieri sera.»
Si sistemarono a tavola e cominciarono a mangiare senza pregare, come sempre quando Lucia stava dal padre.
«Perché domani non vado a scuola?» gli chiese sputacchiando qualche chicco e pulendosi col tovagliolo.
«È sabato, fa caldo, ti porto al mare a Cervia.»
«La mamma lo sa?»
«No e non importa: questa settimana decido io, la prossima tocca a lei. E poi di nuovo io» si versò un bicchiere di vino. «E poi è la prima volta che ti faccio saltare la scuola.» Lucia fece per contraddirlo, ma lui la anticipò. «Questo mese.»
Dopo le verdure e un budino andarono insieme a lavarsi i denti, guardarono una puntata di Dragon Ball e si misero a fare i compiti. Finirono Matematica in un lampo e passarono a Inglese.
«Dài, sbrighiamoci a fare ‘sta roba che poi ti porto ai Giardini Margherita.»
«Non lavori oggi?» gli domandò Lucia aprendo libro e quaderno.
«Oggi pomeriggio no, è il bello di essere il capo: lavoro quando, come e dove mi pare.» Le sorrise ma poi aggrottò le sopracciglia quando posò lo sguardo su disegni stilizzati di varie stanze e del loro arredamento.
«Per questa roba ci vorrebbe tua madre, io d’inglese so sì e no le basi e quello che imparo trafficando col computer e cogli impianti.»
«La mamma è tanto brava in inglese.»
«È tanto brava in tante cose…» sospirò Luca massaggiandosi il petto.
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-m4p-
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