Alcune pagine fa, in un post intitolato “Ah, come vorrei che fosse sempre così”, ho raccontato di una mattinata speciale, con il treno in orario, i pendolari quieti e pure simpatici, l’aria primaverile, insomma, una favola. Fossi un regista e dovessi realizzarci un film, per questa scena sceglierei delle luci color pastello e un’atmosfera leggermente sfocata, un po’ onirica. Perché di questo si è trattato: di un sogno. La realtà quotidiana, purtroppo, è ben diversa.
Oggi è uno dei giorni in cui devo effettuare, per il rientro, di un cambio treno nella stazione centrale della mia città, con un margine di tempo risicatissimo di otto minuti teorici. Ovviamente, per la legge di Murphy, il primo treno accumula durante il viaggio i suoi consueti, direi quasi fisiologici, sei-sette minuti di ritardo e arriva, sbuffando accaldato come i suoi passeggeri, al binario sedici. L’altro treno che devo prendere parte al binario uno, dalla parte opposta. Lo so che non ho speranze di prenderlo, ma tento ugualmente lo scatto. Ma devo desistere presto perché, davanti a me, si sta avvicinando minaccioso un gigantesco gruppo di bambini, tutti con dei cappellini colorati di blu e arancione, tenuti insieme da alcuni insegnanti che si muovono minacciosi e nervosi nel tentativo di tenerli uniti. Mi ricordano i cani pastori alle prese con un gregge un po’ troppo ribelle.
Non ci sono vie d’uscita alternative: come i salmoni, devo risalire la corrente. Ci riesco con fatica, ma purtroppo quando arrivo al binario uno riesco a vedere solo la coda del treno che sparisce all’orizzonte. Devo aspettare un’ora per il prossimo. Ma tutto sommato è presto, è una bella giornata, ne approfitto per fare una breve passeggiata in centro. Torno alla stazione con un buon anticipo, il treno è già lì che mi aspetta. Scelgo la carrozza in modo da minimizzare, all’arrivo, la distanza tra il punto in cui scenderò e l’ingresso al sottopassaggio (ecco, questa è una delle manie che mi sono venute dopo un po’ di pendolarismo). Salgo, ancora non c’è quasi nessuno, scelgo il posto, mi siedo. La pacchia dura poco: un signore con la divisa di Trenitalia m’invita cortesemente a cambiare di posto perché quella carrozza è stata prenotata. Invece di attraversare il treno, scendo e torno sul marciapiede. La carrozza adiacente non va bene, è di prima classe, devo salire su quella successiva, che ha una delle porte bloccate. Raggiungo l’altra porta, evidentemente è quella accanto alla toilette, poiché, proprio mentre sto per salire, qualche simpaticone tira lo scarico del wc investendo il binario sottostante con uno scroscio di acqua tutt’altro che limpido, che per poco non colpisce anche le mie scarpe. Finalmente trovo un posto in cui sedermi, ci sono già alcuni passeggeri. Ma l’epopea non è finita, no, oggi non mi sono fatta mancare proprio niente. Mancano pochi minuti alla partenza quanso l’intera carrozza è invasa da un altro gruppo di ragazzi, più grandicelli di quelli di prima, probabilmente delle medie, di rientro da una gita. Mamma mia, si spostano spingendosi, sbattono da tutte le parti e soprattutto, urlano, urlano come degli ossessi. E le insegnanti, per farsi sentire, urlano più di loro, intimandoli: “VOLETE STARE ZITTI!!!!!! NON CI SIETE SOLO VOI SUL TRENO!!!!!”. Lo so, lo fanno in buona fede, ma nonostante le buone intenzioni, in realtà peggiorano ulteriormente la situazione. E la mia vicina, che sta parlando al telefono, anche lei, urla! Decibel e decibel di caos. Quando, finalmente, riesco a scendere e m’incammino verso casa, i timpani per un po’ rimangono traumatizzati, sento uno strano fruscio nelle orecchie che sparisce solo dopo una buona mezzora e una lunga, lunghissima doccia rigenerante.