Per par condicio oggi diciamo qualcosa di sinistra, cosi’ siete contenti tutti. Ancor di piu’, visto che oggi parliamo di sinistra australiana.
Se qualcuno di voi lettori avesse mai la (s)fortuna di conoscermi di persona e fosse cosi’ in grado di avermi come amico su facebook (visto che io di regola accetto solo la gente che conosco dal vero), potrebbe vedere che alla voce “political views” ho risposto: “depending on the country”. Sembrera’ una cazzata, ma chiedetevelo e rispondetevelo. Chi di voi lettori di sinistra avrebbe il coraggio di dirsi “comunista” in Cina, o in Nord Corea? Ve lo dico io: tolti quelli che non sanno quello che dicono, nessuno. Se viveste in Cina sareste dei pericolosissimi dissidenti antigovernativi (e quindi, a detta loro, di destra). Ascoltate a vostro cuggino.
Beh, vale la stessa cosa qui in Australia. Qui e’ dura dirsi di destra, per chi viene dalle nostre parti. La destra aussie e’ isolazionista, autarchica, ultranazionalista. E’ destra mineraria, in cui l’importante e’ scavare e far soldi, far soldi e scavare. Inquinamento? Non importa: tanto siamo venti milioni con un continente intero di cieli azzurri e acque pulite a disposizione.
E’ sull’ambiente che mi risultano proprio indigesti, non so se si e’ notato. L’Australia che ho vissuto io non ricicla un cazzo, perche’ tanto ci sono pochi abitanti. Da queste parti si estrae carbone e gas, e si usano le risorse a sproposito. L’auto media e’ un 3000 di cilindrata che quando va bene fa 5 con un litro.
Ma non solo. I paesi dell’outback sono quasi tutti alimentati con generatori a combustibili fossili. Ricordo quando stavo a Paraburdoo, paese di 800 abitanti a 800 chilometri di distanza dalla civilta’. Li’ arrivavano due vagoni (non camion, vagoni. Non so se avete presente quanto grande e’ un vagone) di diesel ogni paio giorni, e quel diesel provvedeva al fabbisogno elettrico del paese e della miniera. Stiamo parlando di posti nel deserto con 38 gradi d’inverno, un sole che spacca. Metter giu’ due pannelli solari non si puo’, perche’ la gente di notte va a rubarli, quindi non sembra esserci scelta.
Insomma. Prendi questi e altri motivi, ancora legati o a cause di forza maggiore (tipo anche l’allevamento di bestiame e le scorre dei cammelli – non sto scherzando) o all’incuria e alla poca voglia di cambiare, e ti ritrovi con un paese, l’Australia, che ha il piu’ alto tasso di CO2 prodotto pro-capite del mondo.
A questo punto, succede che al governo ci sia la sinistra, e che abbia introdotto la cosiddetta Carbon-tax. Il concetto della carbon tax e’ chiaro a tutti, credo: chi emette CO2 nell’atmosfera deve pagare una tassa che vada a coprire i costi sociali dell’effetto serra – cicloni, devastazioni, morti, eccetera. Allo stesso tempo, naturalmente, l’intento e’ anche e soprattutto quello di fare in modo che emettere CO2 diventi economicamente svantaggioso per gli inquinatori selvaggi (in primis le miniere), e fare cosi’ in modo di farli diventare piu’ accorti.
Vi faccio un esempio pratico cui ho assistito in prima persona. Nel deserto del Western Australia le locomotive vanno a diesel, logicamente (impossibile tirar cavi per elettrificare le linee per tutte quelle migliaia di chilometri). Stiamo parlando di locomotive potentissime, 15mila cavalli l’una, che tirano centinaia di vagoni (i treni merci sono lunghi dai tre ai quattro chilometri, pieni di materiale estratto. Di solito parte un treno ogni tot ore, dalla miniera al porto, treno che si fa i suoi 600, 800km o quello che e’ in mezzo al nulla, scarica sulle navi e ritorna vuoto alla base). Ebbene, queste locomotive consumano un botto, sono tipo millemila di cilindrata, hanno serbatoi assurdi… e non vengono mai spente. Motivo? Semplice: mezz’ora di ritardo di un treno puo’ costare alla miniera fino a un milione di dollari, e le multinazionali che sfruttano le miniere non si possono (vogliono) permettere di avere una locomotiva con la batteria a terra. Quindi le locomotive quando sono ferme (=tre quarti del tempo) sono li’ accese, al minimo, per… tenere la batteria carica! Anche voi lasciate l’auto accesa di notte in garage per paura di trovarvi la batteria scarica alla mattina, vero?
(A questo punto intervenne il giovane albino, nel 2007, a chiedere – ingenuo – se non ci fosse un’altra soluzione che magari fosse un attimino piu’ clemente nei confronti dell’ambiente. Fuck the environment, fu la risposta. Ma questa e’ un’altra storia).
Morale della favola: gli ambientalisti australiani si sono rotti le palle di queste multinazionali cialtrone. Perche’, per carita’, saranno pure la spina dorsale dell’economia della nazione, ma cio’ non puo’ e non deve permettere loro di inquinare a piacimento solo per incuria. (La stessa cosa succede in Africa, in Cina e in Sud America, purtroppo, solo che qui siamo in una democrazia avanzata, e la cosa e’ francamente inaccettabile). Ecco dunque che il governo ha introdotto la tassa, operativa fra qualche anno, e nel giro non dico di settimane ma di giorni, il consenso nei suoi confronti e’ crollato di decine di punti, al 26% mi pare, mentre l’opposizione (che e’ contraria alla tassa, of course) ora vola al 51%. In pratica le multinazionali hanno minacciato il crollo dell’economia, dicendo che con questa tassa diventera’ antieconomico estrarre in Australia (i me cojoni, nda), cosi’ da montare il panico nella popolazione che (1) vive per la stragrande maggioranza nelle citta’, lontano dagli occhi e lontano dal cuore del problema, (2) quando vive nell’outback ha due mezzi di sostentamento: allevamento (colpito dalla tassa) e miniere (idem), e soprattutto (3) in tutti i casi la gente ha paura di perdere un po’ del suo benessere, mentre ha spazi sconfinati e cieli azzurri in quantita’, e non si rende conto del problema.
Alla luce dei sondaggi, il commento dei rappresentanti del governo e’ stato: siamo coscienti dell’impopolarita’ di questa manovra, ma sappiamo che stiamo facendo la scelta giusta. Nel lungo periodo gli australiani ci premieranno per questa scelta.
A sentire queste parole, non ho potuto fare a meno di pensare che oltre ai materiali estratti dalle miniere, l’Australia dovrebbe cominciare ad esportare i politici. Soprattutto in un certo paese di cui non dico il nome ma che potete bene intuire.