In questi giorni prima che le vacanze abbiano davvero inizio c’è una canzone bellissima di Niccolò Fabi che gira e mi rigira per la testa.
E’ questa. La parte che mi piace di più quasi mi commuove per la poesia e la lucidità con cui descrive l’infanzia è questa:
“La mia famiglia era una qualunque
la mia casa era molto accogliente
amavo tanto quei lunghi viaggi
in macchina di notte
seduto dietro ai miei genitori
pensavo, dormivo, guardavo di fuori “.
Quanto tempo da bambini abbiamo passato in macchina partendo magari di notte per le vacanze (che le partenze intelligenti c’erano già ai miei tempi, senza che si chiamassero così) pieno di eccitazione per un finale diverso della propria giornata? Quanto mi piaceva quando il mio papà mi portava in ancora in pigiama e in dormiveglia in braccio in macchina per poi svegliarmi dopo ore che era giorno fatto in viaggio verso destinazioni esotiche (il mare a casa di mia nonna era davvero la vacanza migliore che potessi immaginare).
Quanto mi piaceva sapere la destinazione ma non avere idea del tempo trascorso e di quello che restava, avendo in testa solo l’attesa e l’emozione del cambiamento.
Quanto sono belle le vacanze per i bambini, che hanno un tempo dilatato senza inizio né fine, un tempo dedicato alla noia, al far niente, al pensare senza per forza che quei pensieri costruiscano case, bollette, soluzioni.
Insomma non è proprio per fare un esegesi di Niccolò Fabi. Ma per avere idea di un punto di vista intramontabile fisso e uguale per tutti i bambini: la costruzione di un tempo tutto loro, di un concetto di vacanza non come riposo dalle ansie quotidiane ma come costruzione di un altro mondo e di un altro tempo a se, un tempo di affidamento ai propri genitori, in cui si sperimenta un’ altra idea di vita.
“Magari a volte anche sotto un semplice tappeto:
il mio tappeto come una montagna
e come porta una saracinesca
potevo fare qualsiasi cosa
l’importante era coprirsi
e con le dita e con i colori
pensavo, viaggiavo, guardavo di fuori…”
Buone vacanze, ci vediamo a settembre.