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E se avessero ragione gli editori a pagamento?

Creato il 07 luglio 2011 da Autodafe

di Cristiano Abbadessa

Serata inaugurale (o quasi) di una nuova associazione culturale milanese. Il programma prevede un generoso happy hour seguito da un concerto country-rock dei Junkyards, band emergente la cui anima è Fabrizio Coppola, fra le altre cose socio e collaboratore della nostra casa editrice. Presenzio, un po’ per antica amicizia verso Fabrizio, un po’ perché, suppongo per questioni anagrafiche, il repertorio è particolarmente affine ai miei gusti e alla mia non vasta formazione musicale.
Il locale è piccolo, su due livelli. Mi apposto in piccionaia, dove la vista è migliore e non si viene sballottati dai ritardatari ancora accalcati attorno al ricco buffet. Ma la scelta si rivela infelice: dal basso sale il costante brusio, talora decisamente rumoroso, di alcuni gruppetti che conversano imperterriti, cercando di sovrastare la musica del trio (e riuscendoci, devo dire). A occhio, applicando una visione modernamente lombrosiana, noto che si segnalano soggetti appartenenti alla specie del presenzialista mondano, quello che “c’è un nuovo locale e non posso non andarci”, senza badare se il vernissage preveda un’esposizione di manga, la presentazione di un libro o un concerto. Perché, tanto, sanno che all’evento non presteranno che una minima attenzione.
Non è la prima volta che mi capita, peraltro. Così, conversandone anche con chi mi accompagna, provo a pormi qualche domanda.
Di sicuro c’entra la scarsa educazione, verso i musicisti e verso chi li vorrebbe ascoltare. Ma ritengo che ci sia anche qualcosa di più subdolo e sottile: l’abitudine, propria di questa modernità 2.0, di recepire poco e pretendere di comunicare molto (magari ad altri che poco recepiscono, ma questo non è importante). Sarà appunto il nuovo mondo del web, dove la comunicazione non soltanto non è più verticale, ma forse non è neppure orizzontale, ridottasi spesso a un cicaleccio in cui è importante che io possa dire, ma senza sapere se qualcuno mi sta davvero ad ascoltare.

E se avessero ragione gli editori a pagamento?

Mi torna in mente uno degli slogan che circolano nel mondo dell’editoria: ormai ci sono più (aspiranti) scrittori che lettori.
Forse non è vero, ma certo la sensazione trova qualche conforto nella diffusa voglia di vedersi pubblicati, e nella predisposizione a frequentare siti e blog dove chi aspira al rango di autore trova una facile tribuna, a fronte della modesta attenzione che viene riservata alle opere pubblicate dagli altri, delle quali non si parla per il semplice motivo che non le si è lette.
Mi viene da pensare, con una punta di sconforto, che forse hanno ragione i cosiddetti editori a pagamento, quelli che pubblicano in cambio di quattrini sborsati dall’autore. Non sono editori, certo: lo so bene, tanto è vero che abbiamo fatto una scelta diversa. Sono, al più, dei fornitori di servizi editoriali (anche se talvolta è difficile stabilire quali). A volte sono persino dei ciarlatani. Eppure, dal punto di vista dell’analisi di mercato hanno ragione loro. L’offerta di autori in cerca di pubblicazione supera ampiamente la domanda; quindi, si trasforma in domanda essa stessa. Il vero mercato non sono i lettori, ma gli aspiranti autori, a quanto pare; e perciò si pensa a realizzare un prodotto (o fornire un servizio) in grado di soddisfare questa richiesta. Semplice legge economica.
Forse è proprio così. Anche in campo letterario, non si ascolta (non si legge), ma si pretende di parlare (di scrivere). Al massimo, si legge qualche nome noto, perché totemico o perché di moda; e, quindi, per il solo motivo che l’aspirante letterato non può proprio esimersi dal conoscere, almeno per sommi capi, certi autori e certe opere. Per il resto, però, l’aspirazione sembra essere quella di vedere il proprio libro pubblicato; magari sapendo benissimo che faticherà a vendere qualche centinaio di copie, con la segreta speranza di “essere scoperti” da qualche creatore di tendenze letterarie, con l’orgoglio di avere comunque il proprio nome sulla copertina di un vero libro, e con la mesta certezza di aver comunicato poco a pochi distratti lettori.
Una mesta certezza che, forse, a qualche autore manca. Ma solo perché non si è mai soffermato a valutare quanta attenzione dedica ai suoi omologhi aspiranti.


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