E se l’Inghilterra non bevesse più tè?

Da Fiveoclock

Scenario apocalittico ma nel Paese della regina le cose stanno cambiando. Ebbene sì, in quella che viene da molti definita la patria del tè, l’Inghilterra (anche se sarebbe più corretto parlare di Regno Unito), si beve sempre meno tè. Ne avevamo già parlato anni fa citando anche la preferenza per la nostra Nutella invece della più tradizionale marmellata di arance amare (che io tra l’altro adoro!).

In queste settimane si sta diffondendo un nuovo allarme dopo i dati emersi dall’ultimo sondaggio (National Food Survey) che confronta i valori raccolti tra 1974 e il 2000 e il 2000 e il 2014. Ebbene dagli anni Settanta a oggi il consumo di tè è passato da 68g a persona alla settimana a “soli” 25g. Insomma Nigella Lawson e le sue 12 tazze di tè al giorno sono ormai una rarità. Infatti se, come fa la testata Indipendent, calcoliamo che una porzione di tè, che sia una bustina o foglie, equivale a circa 3g, gli inglesi bevono circa otto tazze di tè alla settimana contro le 23 del 1974.

Interessante a questo proposito l’analisi di un altro portale, Theconversation.com che studia l’atteggiamento degli inglesi verso questa bevanda nel tempo. Secondo il sito, il consumo di tè ha iniziato a diminuire a partire dal picco del 1956 probabilmente dato dalla fine della seconda guerra mondiale e dalla fine del razionamento di cibi e bevande (ne parla anche George Orwell nel suo saggio A nice Cup of Tea).

Il sito prosegue: il famoso tè inglese scuro, forte, con l’aggiunta di zucchero e latte ha un’origine recente. Quando le foglie orientali sono arrivate sull’isola britannica verso il XVII secolo venivano esclusivamente dalla Cina. Si trattava di tè verde che gli inglesi bevevano in piccole tazze di porcellana senza manico e senza aggiungere latte e/o zucchero. Avreste mai immaginato qualcosa del genere conoscendo il tè inglese oggi?

An Afternoon Tea di Federico Andreotti (1900)

Verso la metà dell’Ottocento il tè iniziò ad arrivare dall’India e gli inglesi si innamorarono dei prodotti del Darjeeling, dell’Assam e dello Sri Lanka, i classici tè neri, ossidati, dal colore scuro e dal sapore intenso.

In gran parte questi tè venivano da piantagioni meccanizzate gestite da compagnie britanniche. Era più economico, facile da produrre e ai consumatori piaceva.

Il sito racconta che le bustine arrivarono nel Novecento grazie a un’invenzione americana che permetteva di ridurre la quantità e la qualità di tè necessaria per soddisfare i bevitori. Infatti le bustine potevano essere riempite anche con quello che allora venivano considerati “scarti”.

Secondo Theconversation, la colpa della diminuzione del consumo di tè e la preferenza per bevande a base di latte e caffè, è quindi dell’industria del tè che è sempre più considerato come qualcosa di piacevole al palato ma ordinario, noioso. Noi potremmo aggiungere “da vecchie zie”, idea diffusa anche da noi in Italia.

©Morgan Sessions

La soluzione? Il sito fa l’esempio di Starbucks, compagnia che in questi anni ha cercato di dare un aspetto nuovo al caffè, di dare fascino a questa bevanda a partire dal mercato americano. Bisogna incoraggiare i commercianti, aprire negozi gourmet dedicati al tè, diffondere l’interesse del consumatore verso nuove esperienze.

Che cosa ne pensate?

Per l’analisi completa cliccate qui