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E se nel 2018 Putin non si ricandidasse? Riflessioni semiserie sull’ipotesi

Creato il 05 ottobre 2015 da Alessandroronga @alexronga

PutinIn un momento storico particolare, in cui l’escalation militare in Siria ha spostato il baricentro delle relazioni internazionali sulla Russia, Vladimir Putin a sorpresa lascia trasparire qualche dubbio sul suo futuro al Cremlino. Intervistato dalla CBS durante la sua permanenza negli Usa in occasione dell’Assemblea Generale dell’Onu, alla domanda se fosse sua intenzione correre per un quarto mandato Putin ha risposto che tutto dipenderà dalla situazione interna del Paese, da quella mondiale e soprattutto da ciò che lui stesso si sentirà fare. Una risposta decisamente inattesa, che però ci consente di giocare un po’ alla fantapolitica: ipotizzando che Putin decida davvero di ritirarsi, chi potrebbe prendere il suo posto?  Considerati gli attuali equilibri vigenti sulla Piazza Rossa, i papabili al momento sarebbero due fedelissimi del Capo: il ministro della Difesa Shoigu e il capo dell’Amministrazione Presidenziale Ivanov.

Sergej Shoigu è quello che ad oggi parte in pole-position: sessant’anni, originario della regione di Tuva, al confine con la Mongolia, è considerato uno degli uomini più vicini a Putin. Piace ai russi, che ammirano molto la sua lealtà verso le istituzioni: da tre anni i sondaggi del prestigioso Istituto Levada lo indicano come “Personaggio dell’anno” secondo solo a Vladimir Putin, e secondo recenti consultazioni è ritenuto dalla gente il politico russo più affidabile, dopo Putin ovviamente. Shoigu è l’uomo delle Forze Armate, e ciò potrebbe deporre molto a suo favore, specie se le operazioni militari in corso attualmente in Siria dovessero concludersi con un successo per Mosca. A suo sfavore, invece, sono le sue origini non russe: secondo alcuni analisti, il suo cognome mongolo potrebbe costituire un ostacolo per la conquista del Cremlino.

Se l’elezione del futuro capo dello Stato russo si basasse solo sul cognome, Sergej Ivanov, l’altro papabile, avrebbe già vinto. Al di là del suo cognome russo per antonomasia, l’attuale capo dell’Amministrazione Presidenziale può giocare un’altra carta, non meno cruciale: quella di essere praticamente un clone di Putin. Ivanov ha 62 anni come Putin, è di San Pietroburgo come Putin, è un esperto di intelligence come Putin. Di fatto, se i russi nel 2018 volessero puntare sulla continuità, il candidato ce l’avrebbero bell’e pronto. Ivanov è esponente di punta  dei cosiddetti siloviki, è l’uomo che porta il peso dei servizi segreti e delle agenzie di sicurezza russe all’interno del Cremlino. Per questo lo si può considerare come successore naturale di Putin, di cui è amico personale e con cui ha condiviso sia gli studi nell’allora Leningrado, sia l’esperienza di agente segreto.

Ad ambire alla successione di Putin ci sarebbe anche Dmitrj Rogozin, vice di Medvedev alla guida del governo. Cinquantadue anni, per le sue posizioni nazionaliste ed intransigenti è considerato uno dei “falchi” del Cremlino, nonostante abbia alle spalle esperienze nella diplomazia internazionale (è stato ambasciatore presso la NATO ed inviato russo in numerosi contesti).  Rappresenta l’influente lobby dell’industria militare russa, per la quale detiene l’importante delega nel suo incarico di vice Primo Ministro, ma che gli è anche costato lo status di “persona non grata” da Usa e Ue nella guerra delle sanzioni con la Russia dopo l’annessione della Crimea. Uomo forte del complesso militar-industriale, ultimamente la sua stella è stata tuttavia oscurata da quella di Shoigu, che gode anch’egli, come detto, di un ampio consenso negli influenti ambienti dell’esercito.

E l’opposizione? Anche se si parla sempre in termini di fantapolitica, la frammentata opposizione russa dovrebbe comunque cominciare a muoversi, se vuol approfittare dell’inevitabile confusione che un’eventuale defezione di Putin potrebbe generare in Russia Unita, il partito del Presidente. Ma ciò è più facile a dirsi che a farsi. Escludendo le improbabili candidature del blogger Aleksej Navalnyj (troppo vicino agli USA e all’Ucraina, il che suona seccamente come anti-russo) e dell’ex petroliere Mikhail Khodorkovskij (impossibilitato per le note vicissitudini giudiziarie e comunque inviso a buona parte degli schieramenti liberali), l’unico nome degno di attenzione potrebbe essere quello di Aleksej Kudrin.

Ex ministro delle Finanze dal 2000 al 2011, poi silurato per le sue critiche sugli incrementi della spesa militare, Kudrin gode ancora di un’ottima reputazione sia in patria che nelle principali istituzioni finanziarie mondiali, grazie all’ottimo lavoro di risanamento delle disastrate casse russe. Personaggio moderato ed istituzionale (lo stesso Putin lo ritiene uno dei più capaci economisiti russi), l’ex ministro sarebbe un candidato in grado di avviare le riforme di cui la Russia ha bisogno senza rinverdire le discutibili shock-therapies di eltsiniana memoria, e per questo riuscirebbe ad acquisire anche un consenso tale da impensierire, non poco, un eventuale candidato governativo espresso dalla trojka Shoigu-Ivanov-Rogozin.


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