Natale cade il 25 di dicembre. Tecnicamente, per la religione cattolica, ha meno importanza della Pasqua. Per le famiglie è la festa più importante.
Da bambino, il Natale iniziava dopo l’8 di dicembre: quando si tirava su l’albero e tutti gli addobbi. Il Natale era metodico. Vigilia a casa nostra, cenone con più parenti possibili, tavolo degli adulti e tavolo dei bambini. Urla dei bambini e urla degli adulti. Il pranzo del 25 da mia nonna e dopo al cinema, classico Disney oppure uno di quei film che dopo sarebbero stati chiamati cinepanettoni.
Santo Stefano da mia zia. Tre giorni lunghi. Tre giorni fatti di scontri, la nonna che compete con la sorella su chi cucina meglio, mia madre che discute con mio padre perché chiacchiera invece di aiutare, mia madre che discute con mia sorella perché non la aiuta, mia sorella che viene da me e mi obbliga ad aiutarla. Ma soprattutto il dramma del mattino dopo l’apertura dei regali: come puoi chiedere ad un bambino di vestirsi e lasciare casa per tutto il giorno, dopo aver ricevuto il giocattolo che tanto aspettava? Come potevi poi portarlo al cinema, e prolungare il distacco dal gioco? Per due giorni di fila. Però mi piaceva.
Il Natale mi piaceva così e lo aspettavo con ansia tutto l’anno, più del mio compleanno. Dopo il divorzio dei miei le cose hanno iniziato ad essere diverse. Per i primi anni il Natale lo passai solo con mio padre, mia madre era fuori. La vigilia sempre da noi. Non più con tutti i parenti, solo noi. Il 25 sempre da mia nonna, stessa formazione della sera prima più la padrona di casa. Il 26 da mia zia, con tutti parenti materni che mi rimproveravano di stare poco con mia madre e averla abbandonata dopo il divorzio.
Il Natale mi piaceva ancora, ma non come lo passavo, non piaceva neanche come iniziai a passarlo pochi anni dopo, quando andai a vivere con mia madre e litigai con mio padre. Mi trasferii a Roma, ripresi i rapporti con mio padre e partì la schedulazione dei tre giorni, Vigilia con mia madre, Natale con mio padre, il 26 con i parenti di mio cognato. Non mi piace neanche questa versione.
Il Natale da adulto inizia a metà novembre, con una telefonata di mia madre:
- Oi, ma quest’anno a Natale, come l’anno scorso?-
- E come sempre oramai no?-
Sono cinque anni che si fa come l’anno scorso, il senso della telefonata è un altro, le serve un posto dove organizzare il cenone, casa mia è la sua scelta. Inizia un balletto che conosco bene:
- Sai, se tu ci sei eh, potremmo andare da nonna, anche se il posto è piccolo-
- Uh uh-
- Però che peccato, con quella cucina a vista, è scomodo. Se friggo poi sentiamo tutti gli odori.-
- Uh uh-
- Sarebbe un posto con cucina e salotto diviso, così la cucina chiudi la porta e ti scordi gli odori.-
- Uh uh-
- Un po’ come a casa tua, i tuoi coinquilini che fanno a natale?-
BINGO!
Sono in ufficio, ho poco tempo da perdere, così gliela do vinta:
- Dai il Natale si fa da me, non dovrebbe esserci nessuno, se ne ritornano a casa.-
- Oh ma stai calmo eh, mica ti ho chiesto di farlo a casa tua!-
- Non ancora.-
- Sempre così te, non ti si può chiedere niente.-
Chiude la chiamata. Prima di rientrare chiamo mio fratello.
- Marco, hai cinque minuti?-
- Si, tranquillo Matteo!-
- Oi, ho parlato con mamma, la vigilia da me. Natale lo facciamo con papà, poi parlo con Francesca, così vediamo che vuole fare lei.-
- Vabbè.-
- Senti per i regali?-
- Per Francesca ho preso già. C’era un’offerta-
- Ok, allora facciamo che al resto ci penso io.-
- Va bene.-
- Torno a lavoro!-
- Ciao-
Le telefonate con mio fratello sono minimal, telegrafiche. Dato che sono nel mood, affronto un’altra telefonata telegrafica:
- Si pronto.-
- Oi papà, disturbo?-
- No no, dimmi-
- Senti il pranzo del 25 da te?-
- E’ come sempre oramai no?-
- E si, esatto…-
- Allora d’accordo, così il 26 lo passi con tua sorella-
- Già, ciao papà-
Il pragmatismo in famiglia è solo maschile. Non sarà così facile con mia sorella. Dal divorzio non va d’accordo con mia madre e da quest’anno è ai ferri corti con mio padre, quindi per lei dovrò dedicare una giornata a parte. Opterò per santo Stefano.
- Oi Francè!-
- We come va?-
- Bene bene, un po’incasinato-
- Che mi dici?-
- Ti ho chiamato per Natale-
- Madonna già?-
- Bhè si, meglio organizzarci no?-
- Ah ok, te vieni il 25 da me?-
- Eh no… vado da papà, pensavo il 26-
- Ah e a Natale non ci vediamo proprio?-
- Ci vediamo il 26-
- Ma il 25 no però-
- E vabbè è solo un giorno su-
- E’ ma è Natale!-
- E vabbè su… torno a lavoro fra, ciao!-
E’ stato più facile di quanto pensassi. Ora arriva il momento dei regali.
Siamo all’8 dicembre. Faccio l’albero nella mia stanza, mentre guardo “Tim Burton’s Nightmare Before Christmas”. Quando l’albero è completo vedo che mancano i regali, perché non li ho ancora fatti. Effettivamente manca tanto tempo, ma non voglio trovarmi a scazzottare con la gente nei negozi. Mi vesto di corsa, salgo in moto e via alla ricerca.
Raggiungo un mercatino a piazza Mazzini. Li preferisco, c’è meno confusione, è più carino a vedersi e fa tanto figo quando riveli dove hai preso il regalo. Tante donne siliconate, mariti scocciati che non vedono l’ora di tornare a casa. Sulle bancarelle tanto cashmere, tante statuette prendi polvere, tanti prodotti alimentari tipici prima dal Cilento, poi dal Salento, poi dalla Sicilia. Prodotti delle Ande, prodotti africani. Riesco a trovare una bancarella che vende libri, colpiscono la mia attenzione, una serie libri dei poeti romaneschi. Mi piace l’idea dei libri.
Vorrei andare in una libreria piccolina, amatoriale, ma sono più vicino alla Feltrinelli di via Candia,- pazienza-, ho fatto l’hipster abbastanza al mercatino. Dentro è il delirio. A quanto pare l’idea di regalare libri non è venuta solo a me, c’è speranza per il futuro.
Tra i consigliati ci sono tanti titoli interessanti per me, ma pochi per chi dovrebbe ricevere il regalo. C’è un libro che ho letto anni fa che potrebbe piacere a mia madre, non ricordo l’autore, vorrei chiedere ad un commesso, non riesco a trovarne uno libero. Giro per la libreria sperando di incrociare il libro che cerco, trovo solo titoli per me. Mentre me ne sto andando, vedo il libro tanto cercato in mano ad un signora, fermo la signora, mi faccio mostrare al libro e corro verso il reparto narrativa. C’é da fare la fila alla cassa ora, tanta fila. Mentre aspetto il mio turno, sbircio gli acquisti degli altri. Il libro della D’Urso va forte. Seguito da biografie di calciatori vari. Un altro trend libri di cucina, la Parodi vende come fosse pane. Le speranze di prima muoiono in quella coda.
Esco dalla libreria con quattro libri per me e uno regalo. Devo ancora comprare per mio fratello e Totò. Rimango in tema storie stampate, ma fumetti. Lì vicino c’è una grossa fumetteria. C’è poca gente, ma il posto è piccolo. Scarto a priori il reparto manga e tutta la fauna che la frequenta, quelli che chiamo i mangaminkia, ovvero ragazzini impazziti che leggono qualsiasi fumetto stampato da destra a sinistra. Conosco mio fratello e Totò: marvel o dc. La carta striscia anche qua, in busta mi ritrovo regali per altri e tre graphic novel per me. Fare i regali mi distrugge il portafoglio. Tornando a casa mi fermo in un negozio di giocattoli per comprare un regalo alla mia nipotina. Devo solo aspettare adesso. Cazzo, non ho preso niente a mio padre. Apro il computer e mi collego ad un sito di vini. Lo riceverà direttamente a casa, facile. Adesso è fatta. Posso rilassarmi e aspettare la tremenda tre giorni.
VIGILIA
La vigilia da bambino è alzarsi tardi, non mangiare fino a cena. La vigilia da adulto è alzarsi presto per andare a lavoro. Così la sveglia suona uguale ad ogni altro giorno. Colazione, vestirsi e via a lavoro, niente moto. Si va con i mezzi, mio fratello arriva con il treno delle otto e valigione al seguito, prenderemo un car sharing e io ho un scusa per nascondermi in ufficio fino alle 20. Siamo solo in quattro in ufficio. Riesco a lavorare più del solito, meno distrazioni. I capi arrivano puntali, ma lavorano tra di loro e vanno via per pranzo. La mia mattinata va vanti tranquilla. Riesco a lavorare più del solito. Decidiamo di mangiare anche noi del team, qualcosa di leggero per non rovinarci il pranzo. Dopo venti minuti siamo sul divano della sala d’attesa con in mano enormi pezzi di pizza bianca e mortadella. Non è male, per niente, è rassicurante.
I ragazzi lasciano l’ufficio per le 15. Io me ne rimango alla mia postazione. Apro il primo cassetto della scrivania e tiro fuori una bottiglia di whiskey. Un bicchiere pieno, carte sulla scrivania. Una sigaretta in bocca mi farebbe sentire tanto dentro un episodio di Mad Men, maledetti segnalatori di fumo. Sono da solo, potrei anche fumare, ma suonerebbe l’allarme e mi ritroverei quelli della sicurezza, già incazzati per essere a lavoro, a farmi una multa.
Le otto si fanno più veloce di quanto mi aspettassi. Spengo il computer, preparo lo zaino, metto su “come and get your love” e ballo come Quill nei titoli di coda di “Guardians of the Galaxy” nella solitudine di un ufficio la sera di Natale.
Incontro mio fratello al binario, compriamo i biglietti per il giorno dopo e andiamo verso casa mia. A casa la tavola è già imbandita. Mia madre è arrivata presto, le ho lasciato le chiavi dalla portinaia ed ha potuto preparare tutto con calma. Il menù è pressappoco il solito: fritti di baccalà, verdure, crostini di salmone, insalata di polpo per antipasto. Spaghetti allo scoglio per primo. Pesce al forno di secondo. Si chiude con pandoro, panettone, torrone, noci e fichi secchi. Il tutto innaffiato da vino, tanto vino. Penso di bere da solo una bottiglia e mezza, non potrei mai affrontare da sobrio una cena simile. Le chiacchiere a tavola sono per lo più banali, partecipo poco. Ospite speciale, uno dei miei coinquilini. Questo amplifica quel senso di malinconia, la nostalgia dei natali infantili, quelli del caos, quelli delle tavolate di parenti. La cena finisce, ci si scambia i regali. Mia madre va a pulire la cucina, io e mio fratello ci buttiamo sul divano a digerire. Guardiamo un po’ di tv, mi finisco il vino e vado a letto. Per me la vigilia finisce qua.
NATALE
Il Natale inizia presto, ma non per correre sotto l’albero a scartare i regali, la mia portinaia, cui casa confina con la mia stanza, parte a preparare il pranzo alle sette di mattina. Così, non sono neanche le otto che mi arrendo al frastuono di pentole e ordini urlati al marito.
Perdo tempo sul divano per un paio d’ore. Mio fratello si alza ore dopo di me. Mentre si lava, preparo lo zaino. Staremo un paio di giorni giù a Latina. Come la sera prima, noleggiamo una macchina in sharing, la stessa. Il traffico della mattina di Natale è quieto. Poche famiglie in giro, con pacchi da aprire in altre case, così da ripetere il rito del regalo con altri parenti. Probabilmente hanno re-incartato i regali in mattinata, almeno io ho fatto così.
Il treno è semivuoto. Il vestiario dei passeggeri, come per me e mio fratello, è quel casual andante sull’elegante tipico di chi va a pranzo dalla nonna. La cena si fa sentire, il mio stomaco perde colpi, cullato dal treno, scendo in un sonno profondo.
Mi sveglia la frenata del treno alla stazione. Ho dormito poco più di mezz’ora, ma mi sento come se fossi uscito da un’ibernazione centenaria. La stazione mi fa tornare in mente i tempi dell’università, delle alzatacce, dei viaggi nel treno pieno di pendolari. Fortunatamente tempi passati.
Fuori la stazione c’è mio padre ad aspettarci. In macchina, occhiali da sole e borsalino. Guida con il borsalino. E’ arrivato a quel livello di anzianità in cui si guida con il cappello in testa. Andiamo diretti a casa della compagna. Il pranzo è a casa sua. In macchina sento un forte odore di fritto, pare che ieri anche lui si sia dilettato con olio bollente e pastella.
Il pranzo è lungo. C’è una grossa tavolata, conosco poco la gente presente. Sono per lo più parenti della compagna di mio padre. Ho paura di non sentirmi a mio agio, sentirmi estraneo, però il cibo è buono, tanto soprattutto il che aiuta a sciogliermi ed essere socievole. A volte basta solo avere la pancia piena di cibo caldo e vino per lasciarsi andare. Tre ore di più primi, più secondi e tanti dolci dopo, torniamo a casa. Stanchi e gonfi. Mi approprio del divano, metto su un film che non centra niente con il Natale, riempio il bicchiere di scotch. Anche questa è passata.
SANTO STEFANO
Il 26 vengo svegliato di nuovo presto. Stavolta la mia portiera è innocente, anche perché non siamo nella stessa città. Il colpevole stavolta è mio fratello e il suo russare. Russa anche mio padre, forte ma cadenzato, costante, quasi ipnotico. Mio fratello invece ha un russare particolare. Non ha un tempo fisso, né un volume. Mio fratello russa bebop. Non sono nemmeno le nove. Mio padre deve essere sveglio da parecchio. In casa non c’è ma ci sono i cornetti. Pare che la colazione sia l’unica opzione.
Usciamo di casa presto. Vogliamo passare a trovare mia nonna, doveva esserci anche lei la sera della vigilia, ma una bronchite l’ha bloccata a casa. Ci offre un bitter da discount, noccioline e patatine al formaggio stantie. Chiacchiera. Tanto. Soprattutto di acciacchi. E’ stanca, ha dolori alle gambe, si ammala sempre. Non riesce a proprio ad arrendersi al fatto che abbia ottanta anni. Scolato il bitter, finite le noccioline, avanzate le patatine ci congediamo.
- Tanti saluti belli, grazie di essermi venuta a trovare. Oh e se non ci vediamo, buona fine e buon principio-
Ho sempre odiato quel saluto. Mi sa di malaugurante. Saliamo in macchina facendo gli scongiuri. Ci dirigiamo verso casa di mia sorella, ha cambiato casa da poco, siamo costretti ad usare il navigatore per trovare l’indirizzo. La casa non è male. Accogliente è l’aggettivo che mi viene in mente appena vedo il salotto. Saluto veloce sorella e cognato e mi concentro su mia nipote.
Apre il regalo, un set da picnic, impazzisce. Inizia ad urlare picchenic picchenic. Mi prende per mano e mi trascina verso la sua cameretta. Tappeto steso, tazze, teiera e dolcetti. Invitate anche bambole varie. Stiamo lì sul pavimento per almeno un paio d’ore, finché non è pronto in tavola. Niente antipasti, la pancia ringrazia. Però c’è il brodo di bollito misto, con cappelletti fatti in casa, con buona pace del mio stomaco ne prendo due piatti. Oltre allo stomaco, a gridare pietà c’è anche il fegato.
Chiama resa incondizionata dopo il primo bicchiere di vino, fatto in casa dal nonno di mio cognato, padovano doc trapiantato a Latina durante la bonifica. I secondi, al plurale, non si fanno attendere, scendono a forza per un esofago stanco, spinti da qual vino che fa sorridere il vecchietto e piangere me. Seguono puntuali dolci, frutta secca e liquori. Dopo pranzo a fatica continuo a giocare con mia nipote, ma non riesco a starle dietro molto. Mi limito a farla danzare mentre me ne sto spiaggiato sul divano e la osservo battendo le mani.
Torniamo a casa. Non posso fare a meno di essere sollevato, passato un altro Natale. Sono un gran fan del Natale. Mi dispiace viverlo così, per appuntamenti a cui vado a malavoglia. Ma sono ottimista, come sono passati i tempi da pendolare, passeranno i tempi del Natale schedulato.
di Fabrizio Lucati All rights reserved