Vincere! È davvero così importante? Londra 2012 ha scatenato ovviamente la febbre per l’oro, per la vittoria. E articoli, commenti, confronti di ogni tipo fanno in questi giorni dello sport la metafora perfetta per tutto. Ovviamente anche per il management, dove vincere diviene sinonimo di successo professionale. Segnalo a tale proposito due articoli apparsi sul blog della Harvard Business Review che parlano di vincitori nello sport e nel lavoro. Con mia sorpresa, usciti lo stesso giorno e dalla stessa testata, sembrano contraddirsi l’un l’altro: “Ten Reasosn Winners keep Winning” e “Our unhealthy obsession with winning”.
Continuare a vincere
L’autrice del primo dei due post racconta che dopo aver studiato performance di tanti atleti e averle confrontate con il mondo del management è giunta a stilare una lista delle dieci cause per cui un campione vince:
1. Buon Umore
2. Ambiente attrattivo
3. Imparare
4. Focalizzare in libertà
5. Cultura positiva verso il prossimo
6. Sistema di supporto solido
7. Stampa migliore
8. Invito alle feste migliori (sì avete letto bene!)
9. Auto determinazione
10. Continuità
Vince chi risponde positivamente nella sua vita e nel lavoro a queste 10 sollecitazioni. Hurry up!, mi verrebe da dire. Cerchiamo subito qualcuno che ci inviti alle feste migliori e partiamo da lì (punto 8).
Camminare per vincere
L’autore del secondo post invece si chiede se davvero vincere sia così importante, perché sembra piuttosto che la vittoria prometta più di quanto dia davvero. Viviamo in una società competitiva e ci diciamo e diciamo di continuo ai nostri figli che bisogna “farcela”, ma poi una volta fatta cosa ci rimane? Le sue constatazioni sono queste:
1. I campioni perseverano, sempre, a prescindere che vincano o meno
2. I campioni hanno obiettivi, ma la soddisfazione viene dall’esperienza di ogni giorno verso l’obiettivo
3. I campioni non hanno paura di perdere
4. I campioni portano valore non solo a sé, ma al mondo (come Agassi con le sue attività per gli emarginati)
Insomma, vincere rimane importante, ma per vincere non bisogna guardare alla meta, bensì ai passi quotidiani. Ciò che conta è come percorriamo la strada verso quella meta. È un po’ ciò che afferma il fondatore della logoterapia Viktor Frankl: il nostro obiettivo non deve essere la felicità, bensì le azioni che ci porteranno alla felicità.
Rinunciare a vincere per vincere
Tornando ai due articoli, consiglio davvero la loro lettura perché a me pare che infine dicano la stessa cosa. Il primo ci dice che attitudine si deve avere per vincere, il secondo ci dice che è proprio la giusta attitudine che dovrebbe essere lo scopo. Sta di fatto che entrambi ci insegnano a vincere!
Le cose si complicano quando iniziamo a sognare. Se ti applichi, se ti sforzi, se fai sacrifici potrai farcela, potrai vincere! È il grande esempio dello sport offerto alla vita e al lavoro. È davvero così? Cioè: se sei basso e tracagnotto e hai le gambe storte puoi vincere una medaglia d’oro in ginnastica artistica? Io, per esempio, non so vendere. Ma davvero se mi sforzo e mi sacrifico potrò diventare un ottimo venditore? La risposta è no, e sposo a questo punto l’opinione di Loius Menand, scrittore Americano, che sul New Yorker, scrive: “The motto of athletic competition should not be «follow your dreams» but «follow your reality»”.
Forse basterebbe abolire la parola vincere nel management (oltretutto è anche un po’ arrogante e saccente) e sostituirla con realizzare (che vuol dire fare) e con valorizzare (che vuol dire dare valore a sé e agli altri). Il successo di un manager, di un evento, di una vita sta tutto qui. Le medaglie lasciamole ai campioni di Londra. Ed è propio Tania Cagnotto, tuffatrice italiana, che dopo le mancate medaglie a Londra, tra le lacrime, dice: “Questo era il mio sogno, ma la vita è un’altra”.
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