Nell'ultimo nostro post ("Fai la ninna, fai la nanna") abbiamo cercato di riflettere sulla condizione, sempre più diffusa, di privazione del sonno nelle nuove generazioni e sui danni che sta causando.
Tra gli imputati di questa epidemia, oltre alla caduta educativa di molti genitori, oltre alla delocalizzazione dei palinsesti televisivi dedicati ai minori, a peggiorare la situazione è giunta, da qualche anno, l’invasione dei tablet e degli smartphone.
Con sempre maggiore frequenza riceviamo in studio famiglie disperate che non riescono a normare l'uso di questi dispositivi affinché si possa trarne solo i vantaggi e le positive emanazioni che certamente non mancano e di cui, per altro, gli stessi genitori sono spesso vittime abusanti -con rilievi negativi anche sul piano coniugale.
L'ultimo, in ordine di apparizione, è il caso di Giulio: 16 anni, trovato alle 3 del mattino di un normalissimo giorno feriale che si "ammalava" addosso a qualche app dagli sgargianti colori e dagli ipnotici suoni, nel tentativo di conquistare chissà quale livello di digitale felicità.
Papà e mamma sono corsi subito dallo specialista, come in uso in questo fragile scorcio di epoca, ma a spaccare con due martellate il maledetto smartphone non c'hanno manco pensato.
Soprassedendo (almeno in questo post, ma avremo ovviamente modo di parlarne) alla condizione evidentemente disturbata di un ragazzo che si sveglia nel cuore della notte per aggiungere punteggi al proprio profilo di videogamer (mentre, spesso, di pari passo precipita il suo punteggio sui registri scolastici -nonostante da qualche anno siano anche questi "elettronici"); le ultime ricerche hanno evidenziato un potenziale pericolo strettamente legato alla fonte luminosa che questi strumenti emanano.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva già avvertito di spegnere tablet e smartphone di notte e, soprattutto, di non dormirci nella stessa stanza, poiché -ad oggi- non si conoscono le conseguenze che avrebbero sulla nostra salute le loro emanazioni elettromagnetiche.
Eppure quante sono le persone che, giovani e adulte, dormono con il loro fedele smartphone, portandosi forse avanti con qualche dose di radioterapia prima di entrare in qualche buon istituto dei tumori? Secondo un recente studio condotto negli Stati Uniti, il 90% delle persone di età compresa tra i 18 e i 29 anni, hanno l’abitudine di portarselo a letto -e in Italia non siamo da meno se sul tema è intervenuta persino la Corte di Cassazione stabilendo una correlazione tra l'utilizzo massiccio di cellulari e il rischio di tumore al cervello dettato dall'alterazione del metabolismo del glucosio che provoca nel cerebro il campo elettromagnetico.
Ciò detto, se dormire col tablet non si sa bene che mal procuri (io, per non saper né leggere né scrivere, lo spengo e lo lascio fuori dalla stanza da letto), sulle conseguenze delle fonti luminose non ci sono dubbi.
La ricerca, condotta dal Brigham and Women Hospital di Boston, ha evidenziato come questa abitudine alteri il sonno e sopprima i livelli di melatonina, l’ormone che regola il nostro orologio biologico agendo sull'ipotalamo per comunicare che è ora di abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
La sperimentazione ha messo a confronto due gruppi che avevano il compito, per cinque giorni di fila, di leggere ogni sera: prima utilizzando un iPad e poi su un normale libro cartaceo. Il secondo gruppo seguiva invece il procedimento inverso: prima i libri stampati, poi l’iPad. Si è così evidenziato come i lettori elettronici abbiano impiegato più tempo ad addormentarsi: si sentivano meno assonnati, avevano il sonno Rem più breve e la melatonina più scarsa -ovviamente il giorno successivo apparivano più stanchi, pur avendo dormito le stesse ore dei lettori tradizionali. E stiamo parlando di gente che leggeva, mica di scatenamenti adrenalinici per sconfiggere qualche invincibile drago digitale.
Se poi lo smanettone notturno (immagine che un tempo evocava ben altro che un videogamer!) è connesso a una linea Wi-fi le cose ancor più si complicano.
Infatti, le onde grazie alle quali connettiamo i nostri dispositivi alla rete sono le stesse che intervengono nella fase R.E.M (Rapid Eye Movement) del sonno, quella -per capirci- caratterizzata da un intensa attività onirica. Non a caso sono le onde prodotte anche quando svolgiamo qualche attività creativa, immaginativa, immaginale, e pure quelle che aumentano la memoria e rendono più facile e duraturo l’apprendimento. La gran parte di queste onde sono prodotte dall'azione dell'ippocampo, che funziona un po' come -appunto- un sistema wi-fi di interconnessione cerebrale, cosa che sembrerebbe all'origine della condizione di disturbo quando (soprattutto durante le ore notturne.) abbiamo i nostri sistema wi-fi accesi e i due generatori di onde entrano -per così dire- in collisione.
Certo, anche in questo caso gli studi non sono ancora definitivi, ma alcune ricerche hanno evidenziato un abbassamento dei livelli di disagio nei soggetti affetti da iperattività semplicemente spegnendo il wi-fi durante le ore notturne.
Insomma, al di là dello spauracchio del cancro e delle alterazioni dell'ippocampo, che comunque dovrebbero metterci in allarme preventivo: obesità, diabete, malattie cardiovascolari, depressione, difficoltà di memorizzazione e apprendimento -come descrivevamo nel nostro precedente articolo- sono i rischi più attendibili legati allitterazione del sonno, alterazioni amplificate dall'uso di smartphone e tablet prima della pausa notturna.
E allora, se vedete vostro figlio che passa troppe ore a videogiocare o. addirittura. si sveglia di notte per farlo, perché non glielo spaccate quel dannato smartphone?
Magazine Bambini
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Massimo Silvano Galli
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