Magazine Cinema
USA, 96 minutiRegia: AA.VVSceneggiatura: AA.VV
Se il primo capitolo, più per distinguersi per l'idea dietro il progetto, si era mostrato, assieme al comunque ben peggiore The ABC's of Death, un ottimo esempio dell'incapacità della gioventù horror di andare oltre certi limiti e schemi prefissati dall'ondata di quel moderno, infantile cinema dell'orrore di cui anche loro, per quanto alternativi e hipster, fanno indubbiamente parte, è abbastanza incredibile come questo atto secondo faccia in parte tesoro della problematicità che distruggeva ogni istante del precedente film, e addirittura riesca a proporre intuizioni e capacità d'analisi della materia sinceramente impensabili.
Lasciamo perdere un fesso come Adam Wingard, suo l'episodio non solo più debole ma semplicemente più stupido e imbarazzante (Phase I Clinical Trials), non c'è modo nel suo lavoro di capire cosa significhi prima di tutto concepire una storia horror, inutile tentare di cercare idee e spunti da un autore che non sa approfondire, non sa creare e ignora totalmente passaggi fondamentali come crescendo atmosferico e credibilità nella finzione: nel parlare di un tizio qualsiasi a cui viene trapiantato un occhio bionico che gli fa vedere i fantasmi, sbaglia bene o male tutto quello che si può sbagliare. E lasciamo perdere anche la cornice, che pur riprendendo e migliorando la storia che già incorniciava il primo V/H/S, dando finalmente un fascino davvero maligno e spaventoso alla soprannaturalità di questi cumuli di nastri magnetici, mantiene un meccanismo banale e scontato nel motivare le situazioni, e non è un caso che porti la firma di Simon Bannet, sceneggiatore dell'idiozia Phase I Clinical Trials.
Con una simile apertura, è facile attendersi il peggio del peggio, l'ennesimo esempio di faciloneria e superficialità, e invece gli altri tre segmenti si muovono su coordinate di gran fascino, a partire da Safe Heaven, nel quale l'accoppiata Gareth Evans (il fenomenale The Raid) e Timo Tjahjanto (il bellissimo L is for Libido, l'unico motivo per guardare The ABC's of Death) partorisce una lugubre, marcia e inquietantissima discesa nelle tenebre parlando di una setta e di un gruppo di giornalisti decisi a intervistarne il leader. Sprazzi di horror genuino (la tensione che si accumula, lo spaesamento, la minaccia impercepibile ma sempre presente) si alternano a momenti di estrema violenza, impastando un horror truce e terribile, colmo di suggestioni cosmiche e di magnifici terrori enigmatici.
Particolarissimo ma davvero efficace invece A Ride in the Park, incursione grottesca di Eduardo Sanchez nel mondo degli zombi, con una raffigurazione dei primi passi dell'apocalisse vista proprio dagli occhi di un morto vivente: chiaramente non si può parlare di spunto o di trama, eppure Sanchez firma una grandissima e strambissima mezz'ora, sempre a cavallo tra un serio impalpabile e un faceto molto giocoso, con soluzioni visive di notevole dinamicità (i brevi piano sequenza in prima persona) per proporre, finalmente, qualcosa di godibile e un po' di freschezza in un filone ormai avaro di soddisfazioni.
Chiude Slumber Party Alien Abduction, altro giocattolo pregno d'ironia che strizza un occhio molto divertito agli eighties, con il quale Jason Eisener (che tutti aspettiamo al vaglio con qualcosa di più lungo e concreto dopo Hobo with a Shotgun) inventa una strano, forsennato rapimento alieno, realizzato con una gestione del suono annichilente (l'urlo dei marziani e il frastuono usato quasi come arma) e con una visività sicuramente grezza e poco credibile (la solita questione dell'uso impossibile della telecamera) ma che genera una notevole scarica adrenalinica.
Alla seconda prova la combriccola riesce finalmente a imbastire qualcosa di ben più che proponibile, perché se prima anche Ti West aveva presentato niente più che un abbozzo informe, adesso avere conferme da Evans, Tjahjanto e Eisener (Sanchez in fondo non ha mai smesso di fare grandi cose dopo The Blair Witch Project) è un sospiro di sollievo e una felice attesa per le loro prossime mosse.
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