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E tre (ci si esercita)

Creato il 27 novembre 2013 da Martahasflowers
E tre (ci si esercita)
Sono stata in barca a vela solo una volta in vita mia, più di vent'anni fa, e penso ancora a quella vacanza come a una tra le più belle che io abbia mai fatto. Di vela non sapevo niente e a bordo ero un peso morto. Facevo quel che mi dicevano senza mai davvero capire i perché di quei comandi, ma so che ero affascinata da tutta quell'attività che in alcuni momenti diventava frenetica e in altri era solo abbandono al vento e al silenzio. La barca era di un mio coetaneo, che ci ospitava tutti. Cristiano era un bravo ragazzo. Noi, l'equipaggio, si fumava, si beveva, si sparavano cazzate. Lui, il capitano, era silenzioso, gentile, pulito. Era il fidanzato di una mia amica che però già non lo amava più, anche se lei ancora non l'aveva capito. Lo trattava male, mentre lui era sempre a servizio. Di lei e di tutti noi. Cristiano aveva affrontato mesi prima la traversata atlantica e manovrava quella sua barca come fosse un'utilitaria su strade di paese. L'avevo visto “posteggiare” dentro una gola stretta e lunga a Maiorca, calarsi a testa in giù nel pozzo dove si nasconde il motore e stare in quella posizione per un'ora a riparare un guasto per me misterioso. Era un figo e anche molto bello. Solo che poi era sempre sorridente, pacato, modesto e proprio per questo non riusciva a essere intrigante né sensuale ai miei occhi, attratti piuttosto da stronzi tenebrosi, tossici furibondi ma sedicenti romantici o intellettuali egocentrici tutti presi dalla propria sofferta superiorità. Mai mi sarebbe piaciuto uno sportivo solido e senza vizi, per di più dotato di un fare cortese dal sapore antico.A Cristiano mancava il controluce, mi sembrava. E solo adesso so che quel controluce mancava a me, incapace di intuire quello che si celava dietro un'ostinata buona educazione.Eravamo partiti da Barcellona con l'idea di fare il giro delle Baleari e poi di raggiungere le isole Porquerolles, ma quando da Minorca ci siamo avviati verso la Francia, nel Golfo del Leone ci siamo imbattuti in una tempesta così potente e spaventosa da costringerci a tornare indietro malconci, sconfitti e imbarazzati. Dentro quel pozzetto, sotto il cielo nero della notte e onde alte tre metri che si rompevano violente sopra di me, ho sentito tutta la forza del mare, la sua cattiveria e pericolosità. Ma io avevo 22 anni ed ero incosciente, e in quelle ore sconvolte non ho mai avuto davvero paura. Guardavo Cristiano e mi fidavo di lui. Quella notte di tregenda noi, l'equipaggio, ci eravamo divisi in due gruppi, quattro di qua e quattro di là, e ci davamo turni di guardia di un paio d'ore ciascuno per stare accanto al “capitano”: solo quello sapevamo fare, stargli vicino senza concludere niente, se non rimettere l'anima ogni dieci minuti. Cristiano era il nostro eroe, o per lo meno era il mio. Ancora oggi sono convinta che mi abbia salvato la vita.Finite le due ore di guardia ci davamo il cambio con gli altri, e noi scendevamo in coperta, pronti a svenire distrutti dalla fatica e dalla tensione. Lui, invece, non riposò mai. Impartiva ordini secchi legati alla nostra sicurezza, ma per il resto si arrangiava da solo. Prendeva decisioni e agiva con movimenti precisi. Era preoccupato, ma il suo era un nervosismo sordo, che restava sottopelle. Alcuni di noi piangevano, altri erano incazzati e il controluce che mi affascinava nei più tenebrosi del gruppo era diventato il riflesso livido della loro paura e del loro pianto. Il riflesso di un'inadeguatezza fino ad allora ben nascosta.La mattina dopo, cinque persone lasciarono la barca, sfinite. Rimanemmo in quattro a proseguire il viaggio e ci sentimmo tutti un po' speciali. Di certo nessuno era lo stesso di prima.
Dopo quella furiosa vacanza, Cristiano non l'ho visto più. Il suo amore con la mia amica è finito in fretta, e non mi è mai capitato di incontrarlo. Mi hanno detto che si è sposato, che ha figli e lavora per una Ong o qualcosa di simile. A volte mi torna in mente e mi resta un po' di amarezza per il rimpianto di non avere inseguito i suoi passi, dopo. Ma è stato meglio così, credo: per me lui è rimasto leggenda, perso nell'ombra di un passato indefinito ma glorioso, al riparo per sempre dalle banalità del vivere minuto in cui siamo immersi adesso, noi che allora ci credevamo dei.  

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