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E tu lo chiami lavoro?

Creato il 29 agosto 2012 da Mcnab75

E tu lo chiami lavoro?

Questo post fa parte di un trittico di articoli, inaugurato con la recensione di ieri, riguardante la concezione del lavoro e, perché no, della vita stessa.
Niente discussioni di alta finanza o di welfare. Sono argomenti di cui capisco poco, su cui c’è molta retorica e di cui non amo parlare. No, qui parliamo dell’aspetto più filosofico della faccenda. Lascio agli altri, ai veri esperti, dedurre delle ricette pratiche e applicabili.
Si diceva ieri del cambiar lavoro per fare “quello che mi piace”. Quanti di voi hanno storto il naso? Ehi, anche tu, laggiù: lo vedo che sei smorfiato.
Vi è mai venuto in mente che, tempo permettendo, fate già “quello che vi piace”, solo che la miope interpretazione della società italiana moderna non ve lo riconosce come lavoro?
Come sempre mi espongo in prima persona, perché i discorsi generici lasciano il tempo che trovano.

Gestire il mio blog e il microcosmo che vi ruota attorno (il Tumblr, i social network -scevri della loro parte ludica, i progetti di scrittura collettivi etc etc) mi porta in via in media due ore abbondanti al giorno. Che salgono a quasi quattro (sempre quotidiane) nel week end. Parlo però di ritmi intensi, in cui si scrive, si risponde a mail e a messaggi, si programmano post anche da qui a un mese, in modo da essere sempre coperti. Ritmi assai superiori a quelli molto blandi dell’ufficio, in cui ogni scusa è buona e sacrosanta per distarsi. Nulla di straordinario: so che molti di voi hanno impegni simili, se non maggiori.
Citando però uno dei commenti più scemi mai ricevuti da quando bloggo: “Ma questo non è un lavoro! E’ come se uno pretendesse di essere pagato per ascoltare i suoi dischi preferiti“. Il che ci porta direttamente alla miserevole concezione del lavoro che ci hanno inculcato da generazione e generazioni: per guadagnare soldi devi fare qualcosa che odi, spezzarti la schiena e arrivare a sera possibilmente stravolto di fatica e sudato. Rigorosamente dalle 9.00 alle 17.00, altrimenti non è lavoro (come faceva notare ieri l’amico Davide commentando la recensione di Mollo tutto!)

Considerando che il lavoro porta via buona parte della nostra esistenza cosciente, trovo tutto ciò alquanto autolesionista, almeno a livello concettuale. Si lavora per vivere, è vero, ma ciascuno di noi ha il sacrosanto diritto di tentare un approccio più umano, utile e appagante con la professione che svolge. E’ diritto di tutti provarci, quantomeno. E’ diritto di tutti essere rispettato per la fatica e la passione che si dedica a un qualsiasi lavoro, manuale o intellettuale che sia. Anche quelli non pagati.
Qualcuno dirà: “il diritto stesso non è più un lavoro*, quindi di che stai parlando?” Come ho già detto, parlo per sommi capi. Non di politica, non di attualità né di economia. Cercate di ragionare in modo flessibile e seguitemi, se vi va.

Dando per scontato che il lavoro degno è soltanto quello classico, che risponde a precisi canoni, remunerato secondo idee datate e sempre meno al passo coi tempi, cancelleremmo per esempio tutto ciò che rappresenta il volontariato, ma anche chi fa sport a titolo amatoriale, chi opera nel sociale, etc etc. Eppure è anche vero che esistono elementi che la vedono così: qualsiasi cosa fuori dall’ortodossia lavorativa è una “soltanto una passione” e quindi, di conseguenza, è una perdita di tempo. Il che ci porta nell’infido vicolo cieco che tanto fa comodo ad alcuni: se nessuno paga certi lavori diventa una regola non farlo, e quindi si perde il diritto di chiedere dignità.
Insomma, è il classico cane che si morde la coda.

E tu lo chiami lavoro?

Un consiglio un po’ estremo. Forse.

Sapete quale sarebbe una soluzione – purtroppo inapplicabile? Sospendere per un mese ogni “passione” creativa e legata al volgarmente detto intrattenimento. Scrittura, fumetti, recitazione, musica, film… Sì perché noi sfigatissimi amanti della parola scritta ci lamentiamo, ma altrove non è che vada meglio, a eccesione fatta degli altissimi livelli.
Continuate a piratare dischi, a pretendere ebook (ma non vi facevano schifo) da eMule, a non pagare gli atleti. Continuate a non offrire spazi per esprimersi, né scuole, né facoltà dove imparare.
Volete anche il livello due? Eccolo: che scioperino anche gli “inutili” scienziati, che tanto si sa che certa gente studia solo per non lavorare. Fermate per un mese gli ingegneri informatici, quelli elettronici. I matematici che studiano “inutili” formule in università, quelli che tengono aperte le accademie di letteratura, spesso mettendoci dei soldi di tasca loro. Tanto è solo passione, no?
Chissà quanti cambierebbero idea…

Ho letto anche commenti sul tenore: “Già, fare quello ci piace… ma a chi piace fare il muratore?” Mi spiace sottolineare che si tratta di una critica stupida. Innanzitutto perché io non parlo mai per assoluti. Viceversa offenderei implicitamente chi un lavoro non ce l’ha, e non è certo mia intenzione farlo. Si discute poi nell’ambito di una società in cui gli alti e bassi ci sono sempre stati. Chiamatemi spocchioso ma preferisco rivolgermi a chi ha stimoli per guardare a migliorarsi e non a peggiorarsi. Né ad accettare supinamente quel che capita. Non per tutta la vita.


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