Siccome sono un'ammiratrice totale di Orhan Pamuk (di come scrive, non sempre di quello che scrive, certe volte non lo capisco) ma un'ammiratrice sul serio, vorrei essere una sua frase per avere la certezza di essere bella e necessaria, insomma per amore, sono andata a vedere il Museo dell'Innocenza che Pamuk ha voluto costruire in onore del romanzo eponimo Il museo dell'innocenza (2006, qui la recensione). Che non ho letto, quindi queste mie note si limitano a considerazioni esteriori e generali. Avrei voluto leggerlo, e prima di partire l'ho cercato sotto forma di ebook ma non l'ho trovato.
Comunque. Si trova a Beyoglu, nella parte cosiddetta europea di Istanbul, non lontano da Taksim. In Cukur Cuma, in una stradina precipite e fascinosa, tra vecchie case di legno abbandonate e botteghe di antiquari, un edificio di tre piani fuoriterra, dall'aspetto non antico, dipinto di rosso scuro, tipo sangue secco. Leggo in una recensione che è un palazzo del 1897 che Pamuk ha fatto ristrutturare da un architetto per adattarlo alla funzione di museo, al quale lo scrittore ha lavorato per quasi quindici anni. L'entrata (biglietteria a finestrino su strada) costa 25 Tl, circa 12 €, in un paese in cui l'entrata in un sito archeologico è di 3 TL, meno di 1,50 €. Però se ti presenti con la tua copia del romanzo entri gratis, bontà loro. I visitatori sono avvisati di parlare piano, non telefonare, non fare foto né video.
Al piano terreno c'è una grande parete coperta di cicche di sigarette, 4213, quelle fumate da Füsun, la donna follemente amata dal protagonista Kemal, da lei raccolte e annotate una per una da Pamuk. Al primo e al secondo piano parecchie vetrine relative ai capitoli del romanzo, con brevi citazioni incise su targhette rétro, in turco e inglese, e spesso impossibili da leggere perché piazzate molto in alto e pochissimo illuminate. Gli oggetti riuniti nelle vetrine sono in effetti fascinosissimi, e tutto sommato sono stata contenta di non poterli situare nella storia, così li ho visti nella loro sognante incongruità. Davanti a me due ragazze turche, molto giovani, esaminavano a lungo vetrina per vetrina, sussurrandosi riconoscimenti e scoperte. C'erano foto, molte, ritagli di giornali, documenti d'identità, capi d'abbigliamento, e soprattutto oggetti di uso quotidiano: bicchieri, bottiglie, portacenere, accendini, tazzine, posate, pezzi di bambole, scarpe spaiate, un vestito a fiori, bricchi per il caffè, eccetera eccetera con tutto quello che riuscite a immaginare. A ogni gruppo di oggetti, vecchi ma non antichi, si accompagnava la sua citazione, a volte evidente, a volte del tutto sorprendente per chi non sapesse fare un immediato collegamento. Il tutto in un'atmosfera tra l'ecclesiastico e il tombale. Al terzo piano, una mansarda, la ricostruzione della stanza in cui Kemal trascorse gli ultimi anni della sua vita e narrò la vicenda del suo amore a Pamuk che poi scrisse il romanzo.
E qui, ammetto, sono schiattata d'invidia, come chiunque scriva, anche se non ho mai coltivato questo tipo di ambizione: non è un monumento smisurato all'ego di chiunque potere costruire un mondo fisico e materiale scaturito da quello mentale? Cercare e trovare tutti gli oggetti, a uno a uno, che quel mondo hanno nutrito e affollato? Sceglierli tu, continuare a aggirarti nel tuo mondo mentale, così difficile da abbandonare quando si finisce di scrivere una storia e bisogna staccarsene? Orhan Pamuk deve avere un Ego gonfio come una mongolfiera e nemmeno la più piccola ombra, il minimo sospetto, di senso dell'umorismo, per essersi inventato questo museo. Eppure, che fantastico atto d'amore per la letteratura, che atto di fede nella parola creatrice: davvero qui il verbo si fa, non tanto carne, ma carta, metallo, cuoio, stoffa, vetro, pane, caffè, raki...
Nel seminterrato una fanciulla cortese ma indifferente vende libri, manifesti e cartoline, ma non c'è niente sulla genesi del museo se non un costoso e mastodontico librone in turco. Alla richiesta se c'è un sito del museo cui fare riferimento, mi sono sentita come se avessi preso sottobraccio la regina a un ricevimento a Buckingham Palace. Ma aveva ragione la ragazza, la mia domanda era più che cretina, era assurda: il Museo dell'Innocenza è l'esatto opposto di un sito internet. Ne è la negazione e l'antitesi.
Però, con il senno di poi, tanto per smentire la gentile ragazza, ecco il link al sito del Museo.