Dossier
Spesso parlando di scuola si tocca il capitolo economico e, quasi sempre si sente dire che i nostri insegnanti non sono motivati perchè hanno "stipendi da fame". Da mesi, infatti, secondo i dati Ocse i nostri sarebbero i meno pagati d'Europa e così seguendo questo polverone i sindacati mostrano i muscoli con minacciose promesse di scioperi generali se il Ministro anziché 400 miliardi non recupererà i 700 miliardi promessi, ma non dicono che stanno discutendo per un aumento mensile pro capite di circa 50.000 lire anziché di 30mila; lasciano invece credere che si stanno battendo per i famosi "stipendi europei". Nessuno però dice come si fa a trovare realmente i soldi per pagare dignitosamente i docenti, facendo in modo che gli investimenti producano un miglioramento del servizio scolastico pubblico.
Ora proviamo a fare i conti, dicendo con la massima chiarezza qual è l’unico modo possibile per aumentare gli stipendi, anche se la proposta farà gridare molti allo scandalo, in particolare coloro che pensano che la scuola come altri servizi pubblici ha come scopo principale di garantire uno stipendio a quanta più gente possibile.
- Gli stipendi dei docenti italiani sono mediamente più bassi (tra il 40% e l’80%) rispetto agli altri paesi OCSE.
- La spesa per la scuola in Italia in percentuale è
leggermente inferiore a quella degli altri paesi, ma non nelle
proporzioni indicate al punto 1. Si tratta di pochi decimi
percentuali, e anche un immediato adeguamento non produrrebbe
significati vi aumenti di stipendio, senza contare che maggiori
investimenti sulla scuola dovrebbero essere destinati non solo agli
stipendi.
Facciamo un esmpio concreto:
L’Istituto tecnico Pinco Pallino (il nome è fittizzio ma i dati sono reali e controllabili) nell’a.s. 1998/99 era frequentato da 1273 studenti, suddivisi su 57 classi, i docenti in servizio 152, ma essendoci 16 tra part-time e spezzoni, ne contiamo solo 144. La media di alunni per classe è di 22,3. Il rapporto alunni per docenti è 8,84: cioè meno di 9 studenti per ogni docente. Questo dato non è un'eccezione se pensiamo che in scuole di minori dimensioni e su più plessi, la media degli alunni per classe è ancora più bassa. Nell’Istituto gli alunni hanno un orario (teorico) di 36 ore settimanali. Nella pratica, per riduzioni dovute a motivi di trasporto, ma soprattutto all’insensatezza di un orario così pesante, ne fanno 30 o poco più (36 ore di 50’). Gli insegnanti sono però pagati per la loro cattedra di 18 ore, come se fossero intere.
Ora, facciamo un ragionamento, del tutto ipotetico:
- supponiamo che l’orario degli alunni sia portato a 30 ore effettive di 60 minuti (quindi in pratica quello attuale), e che i docenti facciano tutti 18 ore effettive di insegnamento;
- supponiamo anche che i famosi 25 alunni per classe diventi il numero medio delle classi di ogni istituto.
In realtà con qualche ulteriore piccolo sforzo, potremmo scoprire che si possono realizzare altri notevoli risparmi, con liberazioni di risorse aggiuntive da distribuire sui docenti. facciamo alcuni esempi:
1. Basterebbe escludere la compatibilità tra insegnamento a tempo pieno e libera professione; tutti i docenti dovrebbero optare mantenendo la possibilità, per chi esercita la libera professione, di stipulare con le scuole contratti annuali o triennali, eventualmente rinnovabili, per un numero ridotto di ore (così si libererebbero molte cattedre per nuove assunzioni).
2. Se accettassimo che gli insegnanti siano pagati in base alle ore effettive e che possano scegliere anche di superare le 18 ore, diciamo fino ad arrivare ad un orario medio di insegnamento di 20 ore settimanali (o meglio ancora a un orario su base annua tra le 700 e le 800 ore contro le attuali 600 teoriche 500 effettive), l’idea di raddoppiare lo stipendio medio sarebbe un’ipotesi del tutto concreta.
3. Per contratto i docenti sono tenuti ad insegnare per 18 ore la settimana, ma non sta scritto che questo compito debba esaurirsi in 33 settimane l’anno. Anzi, poiché il contratto prevede anche per i docenti 6 settimane di ferie, e dato che un anno ne contiene 52, basterebbe distribuire l’insegnamento di 18 ore settimanali su 46 settimane (ma facciamo pure 40) per liberare un altro 10% di risorse. A tutto vantaggio di chi optasse per l’insegnamento a tempo pieno. Magari conservando a tutti coloro che non vogliono accettare un rapporto di lavoro full-time di mantenere una posizione a orario settimanale o annuale ridotto: ma ovviamente con la corrispondente riduzione di stipendio.
4. E non parliamo del personale ATA, che potrebbe essere tranquillamente dimezzato, lasciando un budget alle scuole per specifiche necessità da risolversi secondo le esigenze (appalti delle pulizie, contratti a termine, ecc).
Se qualcuno crede davvero che la qualità della scuola sia garantita da qualche alunno in meno e da qualche insegnante in più, è inutile discutere. Se invece si pensa che la scuola deve essere una tale risorsa del paese da attirare le intelligenze e le capacità migliori, allora bisogna poter proporre un lavoro serio e impegnativo con un riconoscimento economico serio.
Un’altra domanda: la scuola ha la funzione di garantire lo stipendio al personale o la formazione dei futuri cittadini? Nei prossimi quattro-cinque anni alcune centinaia di migliaia di insegnanti andranno in pensione (le leve delle immissioni in ruolo degli anni settanta). Ecco allora che se i sindacati facessero veramente l’interesse della categoria, contratterebbero un piano di progressivo innalzamento del rapporto docenti/alunni ottenendo la garanzia che tutti i risparmi così realizzati vengano reimpiegati nello stipendio degli insegnanti (non per tutti però: per chi accetta il tempo pieno e per realizzare una reale progressione economica e professionale). Gli altri investimenti, che pure il governo dovrebbe assicurare, potrebbero allora essere destinati alle strutture e alla formazione dei docenti e, quindi alla vera funzione della scuola: ossia la formazione dei futuri uomini e cittadini.
Articolo originale: di Claudio Cremaschi http://www.edscuola.it/archivio/ped/autonomia/raddoppio.html