"Hey, fermi tutti, non posso morire così. Non ho un felafel in mano!"
E morì con un felafel in mano (Australia, Italia 2001) Titolo originale: He Dies with a Felafel in His Hand Regia: Richard Lowenstein Cast: Noah Taylor, Emily Hamilton, Romane Bohringer, Alex Menglet, Brett Stewart, Damian Walshe-Howling Genere: esistenziale Se ti piace guarda anche: Trainspotting, The Rum DiaryCult, stracult e strafigo? E morì con un felafel in mano è uno di quei film scritti in una maniera talmente ispirata, che ti fanno venire voglia di riprendere in mano un diario, meglio se una Smemo, come quando eri al liceo per appuntarti sopra le citazioni più fiche. Il protagonista infatti è uno pseudo scrittore fallito in cui è facile ritrovarsi. Almeno, per me è stato facile ritrovarmi. Vive in una casa a Birbane, in Australia, insieme a un gruppo di coinquilini che più strambi e allucinati non si potrebbe e non ha grossi piani o prospettive nella vita. Lo stesso si può dire per il film. La trama non è che vada in chissà quali direzioni. Nemmeno le cerca. Non ha grossi sviluppi o evoluzioni/rivoluzioni. Il film vive di vita propria, come un individuo indipendente e autosufficiente. Questo è il pregio così come anche il suo limite principale.
Cosa succede, nel corso della pellicola? Ma niente, fondamentalmente niente. L’unico grosso cambiamento cui assistiamo è quello di appartamento. Il protagonista passa da una prima casa (la più divertente), a una breve tappa in una seconda, fino a una terza con una serie di roommates folli quasi quanto quelli della prima, che poi tornano a trovarlo pure lì e insomma questo film non parla di niente e parla di tutto e si riavvolge su stesso e non succede niente o forse succede tutto, perché così è la vita.
"Il posto ideale in cui leggere il libro di Cannibal è il cesso,
ma anche la vasca può andare..."
"Dopo Alice Cooper e i manzi di Magic Mike, la posso cantare anch'io:
in radio c'è un pulcino, in radio c'è un pulcino..."
E poi, lo scompartimento attoriale. L’unico volto che si ricorda è quello del protagonista Noah Taylor, efficace nella parte dello scrittore sfigato ma con un’arma segreta in grado di mandare in delirio le donne. Però resta uno di quei attori che non mi convincono al 101%. Piuttosto anonimi e dimenticabili invece gli altri della crew, lontani dal lasciare il segno. È su questi aspetti in particolare, regia, sountrack a cast, che il film non riesce a fare il salto di qualità che gli avrebbe permesso di essere una roba davvero grandiosa e memorabile che l’avrebbero potuto far diventare, chessò?, una sorta di Trainspotting australiano. Cult, stracult e strafigo? Quasi, però no. (voto 7/10)
Post pubblicato anche su L'orablu.