EAP: dalla parte del lettore

Da Lepaginestrappate @paginestrappate

Mi sono accorta che la maggior parte delle discussioni e degli articoli sull’Editoria a pagamento (a favore, sottilmente non contrari, contrari) sono totalmente concentrati sugli autori. Sul loro punto di vista. Sulle possibilità di vantaggio, sugli aspetti legali, sugli svantaggi, sul perché si scelga questa strada, sul bisogno narcisistico di pubblicare a tutti i costi, eccetera.

Mi sconcerta sempre un po’ questa totale attenzione all’autore, alla parte “produttiva”. Da che mondo è mondo, i libri sono pubblicati per i lettori!

Si discute tra le altre cose di un possibile vantaggio nel “farsi conoscere” tramite l’editoria a pagamento. Ad esempio, questo articolo di Luca Mastrantonio uscito ieri sull’inserto culturale La Lettura ne chiacchiera (seppur, come osserva Roberto R. Corsi, in modo confusionario – soprattutto nella distinzione tra self publishing ed editoria a pagamento!). Ancora una volta, ci si rivolge agli scrittori.

Mi soffermo su questo: “farsi conoscere”. Da chi? Dal pubblico? Dai lettori?

E allora forse bisognerebbe spostare su questi l’attenzione. Dove “questi” non sono parenti e amici dello scrittore che pubblica con EAP, obbligati ad acquistare con sorriso forzato e poi releganti le copie in fondo a qualche armadio, ma sono quelli che vedono il libro tutto pronto, rilegato, e con il nome di un editore che gli è probabilmente ignoto. I lettori che non girano con le liste di distinzione tra editori a pagamento, editori free, editori a doppio binario tatuate sul braccio. I lettori che nella maggior parte dei casi non sanno cosa sia l’editoria a pagamento, e quella tal casa editrice (che ha fatto pagare migliaia di euro a un suo autore per stampare il suo testo e forse forse operare un sommario editing) è per loro equiparabile alle tante case editrici minori e più o meno sconosciute di cui altre volte hanno acquistato volumi. Magari pure orgogliosamente, tutti fieri di essere di quel-tipo-di-lettori che non acquistano solo best seller.

Io sono stata una lettrice così, ignara. Per molti versi la sono ancora. Nella mia libreria ho cinque testi derivanti da editoria a pagamento. Arrivati nei miei scaffali per diverse vie, eppure comunque presenti. (Nessuna delle cinque pubblicazioni è apprezzabile).

Insomma, è giusto che i lettori vadano in libreria, o in altri luoghi virtuali e non di commercio di libri, e si trovino tra le mani prodotti (che non sono aggratis, ricordo) il cui percorso è a loro ignoto?

A me pare che questo “farsi conoscere” sia considerabile una possibilità solo sulla pelle dei lettori e che in generale l’editoria a pagamento – che si fa bello del nome di “editore” quando è più che altro uno stampatore – sia una beffa per chi potrebbe acquistarne i volumi.

Uno scrittore che pubblica a pagamento è nel migliore dei casi un ingenuo, nella maggior parte si merita il proprio destino e i soldi gettati al vento; ma un lettore che incappa in un volume a pagamento e si ritrova tra le mani una ciofeca?

Io posso prendermi la briga di controllare (per quel che si riesce) gli editori dei libri che circolano, sapere un po’ che prodotto ho tra le mani, ma la maggior parte della gente non fa questo percorso, come è giusto che sia. Vai in libreria, trovi libri tra gli scaffali, e quando sei lì sei sicuro di avere tra le mani un prodotto che ha subito un dato percorso, che è stato scelto e curato. Non ti piazzi in un angolo a fare ricerche su internet sulla tipologia di editore.

E’ vero, la maggior parte dell’editoria a pagamento non ha distribuzione, e il vero cliente non è il lettore ma lo scrittore, per cui le copie finiscono per la maggior parte nei famosi armadi di amici e parenti, eppure…

Eppure se vai a una fiera dell’editoria, li trovi lì, tra gli altri.

Eppure se capiti a un aperitivo poetico, per dire, magari il volume venduto alla fine è proprio di editoria a pagamento.

Eppure se vai nella Feltrinelli della mia città sono ben esposti (tra le novità e tra i libri messi in evidenza) almeno due pubblicazioni di case editrici a pagamento. L’acquirente medio potrebbe prenderli in mano, lasciarsi incuriosire dalla trama e portarseli a casa, del tutto ignaro.

Non vi è un reale segno distintivo che scriva nero su bianco “ha fatto tutto lo scrittore, dall’investimento alla scelta di pubblicazione, l’editore è lo stampatore” e differenzi questi volumi da quelli, invece, scelti da editori per definizione.

Ciò che più di tutto mi irrita dell’EAP è la mancanza di trasparenza nei confronti del lettore. Lo scrittore sa a che cosa sta andando incontro, ma il lettore?

Suonerà poco romantico e poetico come paragone, ma se vado al banco del pesce, è indicata la provenienza: se è del mediterraneo, se è scongelato o se è fresco.

Mi parrebbe giusto lo stesso discorso di correttenza nei confronti del consumatore librico.


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