Posted 26 novembre 2012 in J'accuse, Slider with 0 Comments
di Matteo Zola
RUBRICA: J’accuse
E’ accaduto che tra i termini di ricerca con i quali i lettori giungono al nostro sito, abbia fatto la sua comparsa un sinistro (è il caso di dirlo) “East Journal è comunista?”. In passato più volte è accaduto che venissimo tacciati di qualche “-ismo“, di destra o di sinistra secondo le tradizionali categorie del Novecento. Quelle erano etichette, affermazioni categoriche, scritte a mo’ di insulto, da persone che leggevano un dato articolo e ritenevano di poter dedurre, da una parte, il tutto. Questa è più interessante, poiché è una domanda, esprime un dubbio. E il dubbio è il nostro pane.
Da due anni ormai, con le nostre limitate forze, cerchiamo di confondervi, amici lettori. Lo facciamo convinti che non spetti a noi confezionare la verità, né crediamo che il compito della stampa sia (come ebbe a dire Lucia Annunziata) “condizionare la mente delle persone”. E il condizionamento ha come arma l’obiettività, che è però feticcio impossibile, pretesa assurda dietro cui celare pareri soggettivi. Una soggettività settaria, poiché ogni giornale risponde economicamente a un gruppo di potere politico-economico. Ecco, tutto questo per dire che East Journal non crede nell’obiettività. Anzi, palesa sempre l’opinione di scrive. E le opinioni sono molte, poiché fin dall’inizio abbiamo evitato settarismi dando voce alle più disparate istanze, talune ascrivibili a “destra” e altre a “sinistra”. Quindi sì, East Journal è comunista. Ma è anche conservatore, cattolico, fascista, reazionario, socialista, liberale talvolta persino liberista! Non ci facciamo mancare niente, se possiamo.
Pluralismo non è solo avere in edicola l’Unità e il Foglio ma avere l’Unità e il Foglio in un solo giornale. E avere tanti giornali che abbiano il coraggio di contraddirsi, di prendere posizioni differenti, alimentando il confronto. Ma questo non potrà avvenire finché la stampa (come sistema, non come singoli individui) non si libererà dai guinzagli dei potentati economico-politici. La domanda però è: una volta liberi, chi paga? Per noi è facile, siamo tutti volontari, e East Journal vivrà finché avrà questa linfa a sostenerlo, ma il giornalismo non può (e non deve, perché è una professione e va retribuita) vivere di volontariato. E come ogni professione va regolata, altrimenti anche dei cialtroni come noi possono venire presi sul serio! E’ un problema da risolvere, e che occorre porsi.
Infine, abbiamo detto che non crediamo nell’obiettività, ciò non significa che quanto diciamo sia infondato. Saremo forse cialtroni, ma crediamo nella trasparenza. Nostro valore è l’onestà: ogni affermazione è ancorata a una fonte, ogni autore ha una formazione specifica e chiunque può verificare nella pagina “redazione” chi è che sta parlando. E’ il lettore a scegliere quanto credito darci, e lo può fare avendo in mano tutti gli elementi per decidere. I nostri limiti, non li nascondiamo, i nostri errori li ammettiamo a viso aperto.
E questo perché crediamo che l’informazione sia un servizio, non un diritto. Sì, proprio così. Il diritto all’informazione, nel nostro Paese, sancisce solo il diritto del giornalista a dire quel che vuole. Noi crediamo invece che debba essere il diritto del cittadino a ricevere un’informazione trasparente e corretta. E dal cittadino dovrebbe venire la difesa del giornalista, quando questo non è messo nelle condizioni di libertà sufficiente a informarlo. Questo richiede, però, un cittadino attivo, pensante, non “condizionato”. Ecco perché confondere, secondo noi, è liberare i lettori da condizionamenti, costringendoli a sviluppare un’opinione propria. Tante opinioni proprie fanno l’opinione pubblica. E l’opinione pubblica è la nostra garanzia di libertà. Per troppo tempo abbiamo assistito a pubbliche opinioni che altro non erano che opinioni private diffuse con metodi da propaganda. Noi, con la nostra esile voce, a questo ci opponiamo.