Se stai a Kampala e devi andare da qualche parte, in qualsiasi ora del giorno o della notte con bello o brutto tempo per tutti i santi 365 giorni dell’anno, puoi star sicuro che troverai almeno un bodaboda che ti aspetta lungo la strada per un comodo e veloce passaggio in motocicletta fino al luogo di destinazione. Sono una presenza fissa nel paesaggio ugandese -ma non solo- in particolare nelle città dove traffico e frenesia del mondo moderno iniziano a influire sulla vita di tutti i giorni. E’ la versione africana del taxi e io, per vari motivi durante la permanenza in Uganda, ne sono diventato un assiduo utente per raggiungere in tempo i luoghi dove mi devo recare e che spesso non conosco o non so come trovare.Il nome deriva dalla necessità di superare la “terra di nessuno” che c’è fra due posti di frontiera senza tutte le scartoffie e le lungaggini burocratiche che derivano dall’attraversare un doppio confine internazionale con un veicolo formalmente registrato. Così il padrone della bicicletta strillava a destra e a manca “boda boda” –una storpiatura dell’inglese from border to border- per farsi notare e attirare i potenziali clienti. Con il tempo i bodaboda sono diventati parte della moderna cultura ciclistica africana e dagli anni ‘60 continuano a espandersi dalla zona di origine –il confine fra Uganda e Kenya- verso altre regioni e paesi: Malawi, Togo, Rwanda, Nigeria e in molti altri posti in particolare del sud-est asiatico. Con il passar del tempo, verso la fine degli anni ’80, i ciclisti sono stati progressivamente sostituiti -ma non completamente- dai motociclisti che ne hanno ereditato il nome. Nel 2004 una ricerca sosteneva che circa duecentomila ugandesi lavoravano nel settore di cui la metà provvista di moto. Oggi, occhio e croce, il numero potrebbe essere vicino al… mezzo milione.
Sono utilissimi ma per varie ed evidenti ragioni anche molto pericolosi tanto che alcune ambasciate, in particolare quella americana, invitano formalmente i propri cittadini nell’evitarli. Certo è che le strade di Kampala non sono proprio il massimo per la moto. Di notte -per usare un eufemismo- sono fiocamente illuminate. Di giorno invece sopportano un traffico veramente impazzito di tutti i tipi di veicoli che unito all’incapacità dell’autista Ugandese medio nel condurre una macchina -per fortuna sono quasi tutte con il cambio automatico altrimenti addio- porta a ingorghi spaventosi… quando piove poi sì blocca tutto. In più segnaletica inesistente -quella che si vede è spesso fuorviante- e buche impressionanti. Senza contare il pericolo di cadere in uno degli innumerevoli tombini scoperchiati -sono tantissimi anche lungo i marciapiedi ed è la cosa che mi terrorizza di più in Uganda- mettono a dura prova moto, pilota, schiena e fondoschiena del passeggero.
Anche la condizione del mezzo fa la differenza e più di una volta sono sceso dopo solo pochi metri di percorso. La motoretta era troppo sgangherata anche per gli scarsissimi standard ugandesi –sostanzialmente senza freni o con ammortizzatori scoppiati, frizione rotta o senza luci o, peggio, un misto di tutto questo. Naturalmente il vero valore aggiunto in termini di sicurezza la fa il “moderno” centauro. Inesperienza, imperizia, incapacità e spericolatezza del pilota nel domare il mezzo e nel destreggiarsi nella giungla urbana ormai, aimè, quasi tutta asfaltata di una capitale africana fanno la parte –per restare in tema- del leone in caso di sinistro… continua