Sul numero 178, del marzo 1962, della rivista "Critique" - fondata da Bataille nel 1946 - Foucault pubblicò "Il no del padre", in cui recensiva il libro di Jean Laplanche, pubblicato l'anno precedente,"Hölderlin et la question du père". Difficilmente si può comprendere la formazione di Foucault, come lettore, senza considerare i suoi testi apparsi sulle riviste, a partire da scritti seminali come "La vita degli uomini infami", apparso su "Cahiers du chemin", la stessa rivista che pubblicò il suo testo su Magritte, "Questa non è una pipa".
In parte, la tesi contenuta in questo saggio di Foucault su Hölderlin fa da immagine speculare alle "Vite infami". A metà del testo, nel corso di una digressione, Foucault commenta le "Vite degli artisti" di Giorgio Vasari, richiamando l'attenzione sul modo eroico ed epico che Vasari sceglie per raccontare queste vite, sottolineando in particolare una sorta di predestinazione dei grandi artisti (Giotto che disegna su un sasso e viene così scoperto da Cimabue, Verrocchio che abbandona la pittura quando vede un disegno di Leonardo, il Ghirlandaio che si inchina davanti a Michelangelo): un registro trionfalistico completamente estraneo agli "infami".
Ma è già Hölderlin che interrompe questo registro - argomenta Foucault - quando comincia a pensare il "legame fra opera e assenza d'opera", ossia, la follia, e quindi anche l'uso del no del padre, o del nome del padre (gioco polisemico usato da Lacan, nel suo seminario sulle psicosi, per rivalutare il Freud di Totem e Tabù. Il "no" del padre come assenza d'opera e, di conseguenza, come fuga dal registro trionfalistico e come apertura verso l'effimero, verso l'infame, verso quello che non è degno di nota. Ed è importante come questo avvenga su "Critique": sulla rivista fondata da Bataille, Foucault arriva al rifiuto dell'opera trionfalistica; cosa che si sposa perfettamente con la nozione di "dépense" (dispendio, eccedenza) di Bataille, ossia l'inutilità, l'eccentricità di un'esposizione non trionfalistica, minuscola, subalterna.
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