Si sa che anche il Giappone è un paese di luci e ombre, ma non si può non rammentare che bastarono sei giorni, dico sei giorni, alla Nexco (la società autostradale giapponese) per ricostruire un tratto dell’autostrada a nord di Tokyo che era stato distrutto dal terremoto dell’11 marzo 2011. In una settimana su 870 chilometri danneggiati dal terremoto ben 813 erano già stati riaperti alla circolazione.
Per carità, direbbe l’eterno candidato a più alti destini politici e governativi, quel Moretti ad di Trenitalia, “robetta” quegli 800 km di autostrada rispetto all’impresa leggendaria compiuta in un giorno dopo una preparazione meticolosa di oltre un mese per sollevare una elettromotrice sbilenca affacciata sul mare ligure, sulla quale era precipitato un terrazzamento adibito a parcheggio, improvvisato sul costone della montagna.
Giornali e tv hanno assunto toni epici nel dare resoconto dell’evento “unico al mondo”, mai tentato prima: eh si, salutato da tre fischi della motrice di soccorso, il locomotore dell’Intercity 660 deragliato il 17 gennaio, si è mosso lentamente muovendo verso la stazione di Andora, liberando la linea ferroviaria dopo che le potenti gru da 800 e 500 tonnellate della ditta Vernazza di Genova, montate su una chiatta ormeggiata nello specchio acqueo antistante la scogliera avevano sollevato la locomotiva dopo averla imbragata.
Così si sono concluse “in tempi record” le poderose operazioni che hanno ricordato l’altro accadimento stupefacente ed epocale, l’erezione della Costa Concordia anche quello atto simbolico del dinamismo, dell’abilità, della poliedricità, in una parola del genio italico. Perché noi affondiamo transatlantici come alla battaglia navale per compiacere compagnie rapaci e viaggiatori narcotizzati da un’estemporanea potenza da lusso, facciamo precipitare treni insieme ad interi costoni di montagna manomessi da abusivismo e speculazione, ma poi quando si tratta di tirarli su non ci batte nessuno, un vero popolo di navigatori, poeti e gruisti.
Eh si, tempi da record dicono i Tg, forse attribuibili alla potenza liberata dal nuovo premier. Così in circa tre mesi una porzione di territorio verrà restituita al Paese. In ritardo sui desideri di amministratori locali e presidente di regione quello che a proposito di autostrada ne percorse un tratto in direzione ostinata e contraria: avrebbero voluto che il ripristino avvenisse in tempo per all’annuale avvenimento epocale, il Festival di Sanremo quest’anno orbato del collegamento su ferro, che tanto di pendolari, indigeni, turisti, chi se ne importa, anzi così imparano a ostacolare con i loro meschini e miserabili tragitti la vera progressiva modernità e la potente magnifica velocità futurista.
Ma c’è un ma a fronte del successo made in Italy: è cominciato il balletto delle responsabilità preliminare a identificare su chi ricadranno i costi e le spese, comprensive dell’ “operazione chiatta”, e quindi l’allestimento della superpiattaforma con le cinque gru, della messa in sicurezza del versante e della bonifica strutturale dei binari, oltre quelle della probabile perdita del locomotore «che è molto danneggiato e difficilmente recuperabile». A questo si aggiungono le voci imputate da Trenitalia (mancati introiti, costi dei bus sostitutivi) che devono essere ancora quantificate.
E siccome il recupero è un successo italiano, non so perché c’è da sospettare che a pagare lo spettacolo saranno gli italiani, compresi quelli che aspettano i risarcimenti per il sacco del territorio e i danni derivanti dall’esclusione dal mondo civile..ammesso ormai che l’Italia lo sia.