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Ecco come il Sole cambia umore

Creato il 04 settembre 2014 da Media Inaf
Immagine composita ottenuta da 25 differenti riprese del disco solare ottenute dalla sonda SDO della NASA tra aprile 2012 e aprile 2013 in cui sono visibili le tracce degli spostamenti delle regioni attive verso l'equatore. Crediti: NASA/SDO/Goddard

Immagine composita ottenuta da 25 differenti riprese del disco solare realizzate dalla sonda SDO della NASA tra aprile 2012 e aprile 2013, in cui sono visibili le tracce degli spostamenti delle regioni attive verso l’equatore. Crediti: NASA/SDO/Goddard

Chi lo conosce bene assicura che è un tipo brillante e assai costante, anche se il suo umore oscilla con regolarità, passando da uno stato assai tranquillo ad uno alquanto turbolento e viceversa. Il tutto avviene ogni undici anni circa. Il ‘tipo’ a cui ci riferiamo è ovviamente il Sole, la nostra stella, il suo ‘umore’ è quello che gli astronomi chiamano attività solare. E’ anche grazie alle osservazioni sistematiche iniziate da Galileo Galilei nel 17° secolo che abbiamo imparato a conoscere meglio il comportamento del Sole, primo tra tutti il suo ciclo undecennale. Una delle prime e più importanti evidenze di questi studi a lungo termine è stata proprio la scoperta della relazione tra il numero delle macchie solari e l’attività della nostra stella: quando sono presenti molte macchie sul disco, il Sole è assai turbolento. Al contrario, poche macchie sono indice di una scarsa attività. L’evoluzione degli studi sulla fisica solare ha poi permesso di scoprire che le macchie solari sono regioni interessate da intensi campi magnetici che affiorano in superficie dalle regioni più interne del Sole. Questa proprietà ha così permesso agli scienziati di ricostruire la struttura del campo magnetico della nostra stella e, con buona approssimazione, anche la sua evoluzione.

D’altro canto, proprio la mole di dati raccolta in oltre quattro secoli di osservazioni da terra e, negli ultimi 20 anni, anche dallo spazio grazie a sonde e satelliti dedicati al monitoraggio e allo studio del Sole, ha sollevato tra gli addetti ai lavori domande ancora irrisolte. Prima tra tutte, proprio la durata del ciclo solare e le sue oscillazioni. A volte infatti sono stati registrati intervalli tra un massimo e l’altro dell’attività solare di solo nove anni, ma in altri casi questo intervallo si è dilatato anche a 14 anni. Perché poi le macchie compaiono solo a latitudini inferiori a circa 30 gradi sia nell’emisfero nord che quello sud del Sole? E quale è il meccanismo che produce l’inversione della loro polarità in occasione del passaggio da un ciclo al successivo?

“Le macchie solari sono state da sempre l’indicatore per eccellenza utilizzato per indagare i meccanismi che governano l’interno del Sole. Tuttavia non sappiamo ancora con precisione cosa le produce e, ancor meno, cosa regola la loro migrazione e guida il loro spostamento”. A parlare è Scott McIntosh, ricercatore del National Center for Atmospheric Research a Boulder, in Colorado. McIntosh insieme ad alcuni colleghi, partendo da questa constatazione, ha provato un nuovo approccio allo studio della formazione e della dinamica delle macchie solari, i cui risultati sono stati pubblicati in un articolo sulla rivista The Astrophysical Journal. A partire dal 2010, il team ha iniziato il monitoraggio delle dimensioni di aree del disco solare dove fossero presenti un ugual numero di linee di campo magnetico uscenti ed entranti rispetto alla superficie. Oltre a individuare strutture già note, i ricercatori ne hanno trovato di più grandi, che possono arrivare ad estensioni pari al diametro di Giove. Ulteriori indagini basate sulle riprese della corona solare realizzate dalla sonda NASA Solar Dynamics Observatory (SDO) hanno evidenziato che in prossimità dei vertici di queste ampie aree appaiono, specie nella banda dei raggi X e dell’estremo ultravioletto, dei ‘punti luminosi’.

Il passo successivo è stato quello di provare a ricostruire i moti di queste macchie brillanti, recuperando informazioni dagli archivi della storica missione SoHO e della più recente SDO. Ciò che è emerso è la presenza, in ciascun emisfero, di diverse bande composte da questi punti luminosi che nel tempo si muovono verso l’equatore solare, seguendo lo stesso andamento delle macchie solari. Per i ricercatori questa caratteristica sarebbe la manifestazione della complessa interazione delle linee del campo magnetico all’interno del Sole, dove sono presenti bande di materiale magnetico polarizzato in modo diverso. Queste bande, una volta formatesi a latitudini relativamente alte e ciascuna con polarità opposta rispetto alla precedente, scendono costantemente verso l’equatore. In tale configurazione, speculare tra i due emisferi, le linee del campo magnetico che connettono bande magnetiche contigue e di segno opposto sono relativamente brevi e ordinate, con la conseguenza di produrre un basso numero di macchie e di riflesso una limitata attività. Con il trascorrere del tempo, quando in prossimità dell’equatore bande di polarità opposta provenienti dai due emisferi si avvicinano e vengono in contatto, si annullano a vicenda e scompaiono. Quelle che rimangono si trovano tra loro più lontane e le linee di campo magnetico che le connettono sono molto più lunghe. Una configurazione che consente così una crescita più rapida delle macchie solari, l’aumento del loro numero e, di conseguenza, dell’attività solare. Il ciclo che intercorre tra la formazione delle bande, il loro arrivo in prossimità dell’equatore e poi loro scomparsa è stato misurato avere una durata media di 19 anni, ma può variare tra 16 e 21 anni. Per gli autori dello studio è proprio questo intervallo temporale che definisce correttamente l’intero arco del ciclo solare.

«Il numero di macchie solari osservate sull’emisfero visibile rappresenta il descrittore storico del ciclo di attività solare, essendo associate all’emersione localizzata di intensi campi magnetici generati dalla dinamo solare e riorganizzati dalla rotazione differenziale del plasma solare con una quasi-periodicità di circa 11 anni. D’altra parte strumenti e tecniche avanzate per la misura dei campi magnetici fotosferici hanno mostrato i limiti di tale descrittore di attività, mettendo in evidenza l’evoluzione magnetica su un periodo di circa 22 anni oltre a diversi multipli non-interi» commenta Mauro Messerotti, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste. «Inoltre sia le macchie solari che le caratteristiche magnetiche associate rappresentano un’istantanea giornaliera dell’attività sull’emisfero visibile ovvero un quadro parziale dello stato di attivita’ globale del Sole. C’è poi da aggiungere che l’avvento dell’eliosismologia ha ulteriormente complicato lo scenario, evidenziando la presenza di flussi di plasma nella zona subfotosferica che hanno luogo lungo i meridiani e contribuiscono a modificare significativamente l’intensita’ dei campi magnetici subfotosferici emergenti, un meccanismo invocato per spiegare la modesta intensità del ciclo di attività attuale caratterizzato da tali flussi particolarmente veloci.

In questo contesto la metodica di McIntosh e collaboratori, basata sull’analisi di caratteristiche coronali associate a campi magnetici di piccola scala spaziale come i ‘punti luminosi’ (bright point) visibili nelle bande dell’estremo ultravioletto e dei raggi X, aggiunge un tassello importante circa la presenza di bande magnetiche dinamiche ad estensione equatoriale la cui evoluzione temporale può spiegare la migrazione della latitudine di comparsa delle macchie nel corso dell’evoluzione del ciclo, oltre ad altre caratteristiche temporali del ciclo stesso. Ciò contribuisce in modo significativo alla costruzione di uno scenario fenomenologico ed interpretativo che in futuro consentirà previsioni affidabili sulla durata e l’intensità di picco dei cicli successivi. Ribadisco la parola futuro, perché la metodica deve essere estesa a più cicli solari ed altri aspetti fisici debbono essere ancora compresi ed integrati nel quadro generale in modo compiuto, quale ad esempio il meccanismo della dinamo solare».

Per saperne di più:

  • l’articolo Deciphering Solar Magnetic Activity I: On The Relationship Between The Sunspot Cycle And The Evolution Of Small Magnetic Features di Scott W. McIntosh et al. pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani


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