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A dispetto del nome, certamente non hanno impatto diretto sulla salute pubblica, ma sulla ricerca sì. E un effetto non da poco, essendo l’impact factor quell’indice che misura il numero medio di citazioni ricevute da un articolo scientifico negli ultimi due anni. Praticamente è un numero che in un certo senso caratterizza le pubblicazioni, e quindi i curricula lavorativi, dei ricercatori; un numero che guida le loro scelte su quale specifica rivista decidere – o meglio, provare – a pubblicare. Più l’impact factor è alto, più la rivista è prestigiosa e più dovrebbe essere difficile pubblicare sulla stessa, a garanzia dell’elevata qualità dei suoi lavori. Nella più recente classifica, al primo posto si conferma “CA – A Cancer Journal for Clinicians” [ http://alturl.com/9y4u3 ], seguito da “The New England Journal of Medicine” e “Annual Review of Immunology”.
Che poi l’impact factor non sempre sia garanzia di una scelta attenta dei lavori da pubblicare, è dimostrato dalla prestigiosa “Science” – ora, al 18° posto della classifica – sulla quale era stato presentato un modello biostatistico in grado di prevedere la longevità nell’Uomo [ http://alturl.com/y9rs8 ], tanto che aveva fatto molto scalpore, ma che poi è stato ritirato per problemi nella metodologia con cui era stata condotta la ricerca stessa.
E ci sono state pure delle riviste che avevano la cattiva abitudine di autocitare un po’ troppo i propri articoli, per dare una spintarella ai rispettivi impact factor: erano ben 51 riviste, accuratamente elencate, ma ora escluse dall’ultima classifica.
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