Ecco il paradosso di Emilio Salgàri. Amato da generazioni di ragazzi, almeno fino agli anni ’70 – io ho fatto parte di quell’ultima, cresciuta con il Sandokan televisivo -, spacciatore di sogni esotici da sfogliare sotto le coperte durante notti insonni, eppure così poco considerato dai coevi. Giornalista di cronaca spicciola, scrittore bellamente ignorato, mentre De Amicis e Carducci unificano i gusti degli italiani a Verona lo dileggiano come Salgariello. E lui che fa? Incazzato con il mondo intero, si cuce addosso una biografia fittizia: millanta d’essere capitano di lungo corso, di aver viaggiato per i sette mari, rifugiandosi invece al riparo ombroso delle biblioteche tra atlanti ed enciclopedie. S’inventa paesi lontani, giungle impenetrabili e belve in agguato, acque infestate di pirati di cui si fa prigioniero a vita. Compone un libro dopo l’altro, in preda a una febbrile follia: finita una storia si catapulta in quella successiva, avido lui stesso di avventure corsare, covando riscosse impossibili.
Che fosse un gran dissipatore di fama e fortune, braccato a vista dai creditori, corrisponde più a leggenda che a verità. Salgàri è un mitomane, un visionario, uno spacciatore di menzogne. Ma non è la narrativa a essere tutta una menzogna? Scrive – questa la verità – per domare la tigre della depressione che lo artiglia, ed è la fatica creativa a consumarlo nell’alloggio torinese di Corso Casale. Quattro libri l’anno, impone il contratto. Si lamenta con l’editore d’essere osteggiato, rovinato, senza un soldo, invece è annichilito dal suo stesso sentirsi inferiore. Incontra De Amicis alle partite di pallone elastico e nemmeno osa avvicinarsi per stringergli la mano.
La sua storia finisce una mattina di aprile, immagino piovoso come nelle foreste di Mompracem: lo ritrovano in un burroncello collinare, in mano ancora il rasoio con cui si è scannato come uno dei suoi eroi. “Vi saluto spezzando la penna”, lascia scritto, ma neanche quel gesto estremo suscita nella comunità letteraria il clamore vagheggiato. Al suo funerale soltanto un nugolo di ragazzi, i suoi libri sotto il braccio. A ben pensarci, il miglior commiato che uno scrittore può meritare.
(Segnalo il bel romanzo di Ernesto Ferrero "Disegnare il vento - L'ultimo viaggio del capitano Salgàri", Einaudi, 2011.)