La recente discussione riguardo alla Tobin Tax riporta alla ribalta il tema di quale possa essere uno
strumento di politica economica utile ad attenuare gli effetti della speculazione internazionale. La Tobin Tax di cui si parla in questi giorni consiste nell’inserire un’aliquota di tassazione sul valore di transazioni finanziarie sul mercato dei cambi dell’euro. La proposta era stata originariamente formulata dal premio Nobel per l’economia James Tobin per attenuare la speculazione sul mercato dei cambi. (1) La base imponibile sarebbe stata infatti il valore di ogni transazione in acquisto o in vendita di valuta estera. (2)
IL MERCATO DEI CAMBI
Sulle transazioni valutarie il problema non può essere risolto dalla presenza di una tassa. Nel mercato dei cambi, come in quello azionario o dei titoli a reddito fisso, il problema fondamentale è l’informazione. Chi possiede più informazione la usa per manipolare i prezzi e generare profitti in modo speculativo. (3) Se il mercato è trasparente, ovvero se tutti gli operatori possono osservare in tempo reale l’andamento delle transazioni, è molto difficile influenzare l’andamento del prezzo a proprio vantaggio.
Nel caso del mercato dei cambi, vi sono diverse questioni rilevanti. Innanzitutto, il mercato dei cambi è oggi largamente frammentato e vi sono diverse piattaforme di trading a disposizione degli investitori. (4) Ciascuna piattaforma definisce un mercato dove si formano domanda e offerta. In alcune di queste piattaforme, gli scambi tra controparti sono condotti in forma anonima, le cosiddette dark pools. Una frazione sostanziale degli scambi avviene over the counter (Otc), cioè in modo bilaterale e fuori dal mercato. In questo spazio, operano principalmente grandi dealers specializzati e istituzioni finanziarie, che sono circa venticinque. (5) Se vi è opacità di informazione tra gli operatori come si può imporre una tassa se non si ha conoscenza della struttura di mercato? Per limitare gli effetti speculativi sulle monete, basterebbe imporre la full disclosure delle transazioni su piazze regolamentate.
L'IMPATTO SUL PREZZO
Lasciamo ora il mercato dei cambi e cerchiamo di capire se l’introduzione delle Tobin Tax sulle transazioni finanziarie in genere possa avere effetti benefici. In questo esercizio, seguiamo una prospettiva di microstruttura dei mercati. Possiamo pensare a tre principali componenti fondamentali per il prezzo di un qualunque asset: (i) informazione pubblica; (ii) impatto sul prezzo derivante dalle transazioni; (iii) costo per l’esecuzione delle transazioni. L’informazione pubblica è il classico fattore esogeno non controllabile poiché colpisce il prezzo indipendentemente dalla transazione effettuata. Diverso è il caso dovuto al secondo fattore. L’ammontare e il segno di una transazione (se in acquisto o in vendita) comunicano informazione importante al mercato. Se osservo che qualcuno compra o vende molto, suppongo che sia mosso da informazione privilegiata. Pertanto, lo seguo anch’io per evitare che il prezzo subisca oscillazioni dalle quali possa essere danneggiato. Aggiungendo a ciò il costo per l’esecuzione dell’ordine (fattore (iii)) si ottiene complessivamente il cosiddetto price impact, ovvero l’impatto sul prezzo determinato da un ordine di acquisto o vendita. In generale, mercati poco trasparenti o poco liquidi mostrano elevati livelli di price impact. Ciò significa che piccoli ammontari scambiati provocano grandi fluttuazioni nei prezzi (la cosiddetta “speculazione”).
Può la Tobin Tax attenuare il price impact, riducendo così la pressione speculativa? La risposta è: purtroppo no. È infatti molto semplice dimostrare analiticamente che inserendo una tassa sulla transazioni finanziarie, si va ad aumentare la componente di price impact, generando due effetti potenzialmente pericolosi. Data la perdita di liquidità e trasparenza, vi è un effetto di “primo ordine” per il quale minori quantitativi scambiati sono sufficienti per manipolare il prezzo. (6)
Vi è anche un effetto di “secondo ordine” tale per cui l’illiquidità addizionale produce un aumento della volatilità dei prezzi. (7) Secondo questa prospettiva, l’introduzione di una Tobin tax non attenuerebbe la speculazione, bensì rischierebbe di peggiorarla.
EFFETTI DI MEDIO-LUNGO PERIODO
È importante considerare anche gli effetti di medio-lungo termine. Dal momento che la tassazione è basata sul principio di residenza, nel medio termine, tutta l’industria finanziaria rischierebbe di migrare nei paesi dove la Tobin Tax non è introdotta. Da queste piazze, attraverso le piattaforme elettroniche di scambio, gli operatori riuscirebbero comunque a compiere operazioni sulle borse dei paesi dove invece essa vige, senza doverne pagare il costo. Si creerebbero così le premesse per opportunità di arbitraggio che produrrebbero incentivi all’attività speculativa, anziché ridurla.
Vi sono anche sostanziali problemi di applicazione per una Tobin Tax. Come sarebbe possibile gestire un’imposta in un mondo in cui le transazioni vengono concluse ogni 10-15 microsecondi? (8) Risolvere questo problema richiederebbe una gestione della tracciabilità delle transazioni molto complessa.
James Tobin si era reso conto delle reali difficoltà nella realizzazione pratica dell'imposta. Per ridurre la speculazione è meglio andare su logiche di incentivo alla trasparenza delle negoziazioni. Non a caso, i problemi degli ultimi mesi non vengono tanto dai mercati regolamentati, che ne sono piuttosto la vittima, quanto dai mercati paralleli non regolamentati. (9) Imporre la tassa unilateralmente senza un reale accordo internazionale rischia di aumentare le criticità di un sistema finanziario già molto volatile.
(1) Tobin J., 1978, “A Proposal for International Monetary Reform”, Eastern Economic Journal, 153–159.
(2) È interessante sottolineare come molti paesi, tra cui la Francia, abbiano già varato un provvedimento in base al quale la Tobin Tax sulle transazioni valutarie viene automaticamente inserita nel momento in cui tutte le nazioni aderenti alla UE adottassero analogo provvedimento. Anche il Parlamento italiano si è occupato della questione presso la Commissione finanze della Camera dei Deputati durante la XX legislatura.
(3) Per un esempio di discussione empirica delle fonti di asimmetria informativa sui mercati dei cambi, il lettore può consultare Rime, D., G. Bjonnes e C. Osler, 2008, “Asymmetric Information in the Interbank Foreign Exchange Market”, Norges Bank Working Paper No. 25.
(4) Per un’eccellente discussione sull’evoluzione della struttura degli scambi nel mercato dei cambi vedi King, M. R., D. Rime e C. L. Osler, (2011), “Foreign Exchange Market Structure, Players and Evolution”, In James, Marsh and Sarno (eds.), Handbook of Exchange Rates, Wiley. Forthcoming.
(5) Vedi Bank for International Settlements, “Otc Derivatives Market in the First Half of 2011”, novembre 2011. King e Rime documentano come una parte sostanziale dell’aumento del turnover sui mercati dei cambi dal 2007 al 2010 sia anche imputabile all’attività dei trader ad alta frequenza e dei retail investors: King, M. R. e D. Rime, 2010, “The $4 Trillion Question: What Explains FX Growth since the 2007 Survey?”, BIS Quarterly Review, 27-42.
(6) Uppal, R., 2011, “A Short Note on the Tobin Tax: The Costs and Benefits of a Tax on Financial Transactions”, EDHEC-Risk Institute Position Paper.
(7) In supporto delle nostre considerazioni, Aliber, Chowdhry e Yan propongono evidenza empirica che suggerisce come la Tobin Tax possa determinare un aumento della volatilità dei tassi di cambio: Aliber, R.Z., B. Chowdhry e S. Yan, 2003, “Some Evidence That a Tobin Tax on Foreign Exchange Transactions May Increase Volatility”, European Finance Review 7, 481-510.
(8) Chaboud, A., B. Chiquoine, E. Hjalmarsson e C. Vega, 2009, Rise of the Machines: Algorithmic Trading in the Foreign Exchange Market”, The Federal Reserve Board International Finance Discussion Papers, 980.
(9) Un esempio di tale mercato è quello dei Cds, i credit default swaps, quasi interamente Otc. fonte
di Massimiliano Marzo e Paolo Zagaglia