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“Ecco quello che sappiamo dei terremoti”

Creato il 06 settembre 2013 da Extremamente @extremamentex

“Prevedere un terremoto è difficile, specialmente nel futuro”. Lo dicono, con tragica ironia, i sismologi, frustrati dall’impossibilità di predire i movimenti tellurici della terra e di evitare, così, danni e vittime. Ma dopo gli eventi drammatici degli ultimi anni, forse qualcosa nell’ambito della prevenzione sta cambiando.

“Ecco quello che sappiamo dei terremoti”

LO TSUNAMI NELL'OCEANO INDIANO HA PROVOCATO 230 MILA VITTIME

“All’indomani della scossa e dello tsunami del 2004, che hanno devastato l’Indonesia, ho provato quasi vergogna: si era potuta verificare una catastrofe del genere nonostante tutti gli sforzi compiuti dalla ricerca”, ammette Ross Stein, geofisico dell’ U.S. Geological Survay, l’agenzia scientifica del governo degli Stati Uniti. Eppure, aggiunge, ora gli esperti hanno scoperto qualcosa di più rispetto al passato. Tutto merito- si fa per dire- del violentissimo terremoto dell’Oceano Indiano e di quelli che hanno poi colpito Cina, Cile, Giappone e Nuova Zelanda.

La prima novità riguarda le scosse di assestamento che si susseguono dopo quella principale. Finora sono sempre state considerate come gli ultimi singulti di un terremoto in fase terminale. Invece, andrebbero valutate come prodromi di ulteriori terremoti. Stein prende ad esempio i sismi avvenuti in Cile, nel 2010, e in Giappone, l’anno seguente. “Anche se sono stati terribili, in realtà potremmo quasi dire che hanno mancato il bersaglio“, dice il geofisico.  Entrambi, infatti,  hanno avuto un epicentro lontano circa 300 miglia (quasi 500 km) dalle popolosissime capitali, Santiago e Tokio.

Una bella fortuna. Sì, ma non troppo- dice Stein. “I nostri studi indicano che ora le due città sono a rischio, proprio perchè quei terremoti e le scosse di assestamento successive hanno sottoposto a forte stress le faglie prossime a Santiago e a Tokio”. Un fattore di pericolo elevato, perchè le fratture nella roccia, sotto pressione, potrebbero scivolare, scatenando sismi enormi che colpirebbero le due metropoli. ”In un’area vasta come quella della capitale giapponese, il rischio è aumentato 2 o 3 volte dopo lo shock del 2011″.

Ma in questo quadro  preoccupante emerge una buona notizia: lo schema ricorrente nella frequenza delle scosse di assestamento dopo i megaterremoti potrebbe dare modo agli scienziati di calcolare le probabilità che se ne verifichi un altro nella stessa zona con una certa precisione. Non è però questa l’unica lezione imparata dai sismologi. Il terremoto del Giappone, infatti,  è stato provocato dal margine di una placca tettonica nell’Oceano Pacifico. Gli scienziati la conoscevano, ma erano convinti che potesse fratturarsi solo in un determinato punto alla volta. Ma si sbagliavano.


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