A fornire lo scatto alla redazione del Wall Street Journal è Greg Christie, una delle teste di serie del progetto e responsabile dell’interfaccia software del melafonino. E forse la pubblicazione di questa fotografia non è casuale, proprio per quel processo in via d’inaugurazione di cui si è accennato in apertura.
Chi pensa che i luoghi segreti di Cupertino siano ricchi di tecnologia futuristica, una sorta di cassaforte con le più strabilianti meraviglie dell’informatica, dovrà però ricredersi. Il primo iPhone è nato in una stanza grigia senza finestre, con alcune zone delle pareti rovinate dalla rottura di alcuni tubi di un adiacente bagno, un arredamento spartano e tutt’altro che proiettato al futuro. E vetusta – se così la si può definire – è anche la tecnologia impiegata.
Sull’improvvisato tavolo, formato da tante scrivanie adiacenti, ha trovato infatti spazio un Power Macintosh G3, completo di casse e subwoofer in vetro, una macchina già obsoleta in quel 2006 protagonista dello scatto. La scelta di in simile hardware non è casuale: utilizzando un computer non più recente, Apple ha potuto simulare la comprensibile lentezza di un device da taschino. Quindi un circuito – forse un telefono fisso smembrato – collegato a una cornetta, probabilmente utilizzato per verificare il corretto funzionamento delle chiamate. A completare la scena un device touchscreen, dal nome in codice “Wallaby”, l’antesignano di come conosciamo iPhone oggi. Nulla di trascendentale, niente che possa ricondurre a un film di fantascienza. Eppure il melafonino è nato proprio in questa stanza.
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