l’interno del Palast, il palazzo del cinema
l’Abkhazia è quella parte verde in alto a sinistra, peraltro vicinissima a Sochi che è lì, appena oltre il confine
eccola, la Fiera della frutta di Berlino
Eccomi appena arrivato a Berlino. Il tassista che mi ha caricato a Tegel naturalmente mi ha chiesto (come quello dell’anno scorso: uguale uguale) se fossi venuto per la ‘Messe’. Quale Messe, faccio io (avendo nel frattempo dimenticato)? Ma la ‘Messe’ della frutta, fa lui, spiegando a me che cado dal pero come nell’area di Charlottenburg, Berlino Ovest, sia in corso questa gran fiera della frutta e verdura e dell’annessa logistica, la quale è un big event che attira gente da tutto il mondo. Quando gli dico che no, son qui per la Berlinale, sembra un filo deluso, per lui il festival del cinema deve contare poco, o comunque deve portare meno clienti della Messe fruttaiola. Intanto constato che qui ci sono 6 gradi, che per Berlino è temperatura primaverile, stiamo a vedere i prossimi giorni (io non posso comunque dimenticare i -15 che mi accolsero due anni fa). Conversazione col tassista, il quale – avendogli io chiesto quando mai sarà pronto il nuovo aereoporto di Berlino in costruzione da dieci anni, che poi ci lamentiamo dell’Italia – fa una smorfia e si mette invece a magnifica il nuovo aeroporto di Istanbul, ‘the biggest in the world’. Ne deduco da tanto entusiasmo e orgoglio che sia di famiglia turca, e lui mi dica sì e no, che è complicato, che è difficile da spiegare. Lo incoraggio, e mi spiega che la sua famiglia, i suoi nonni, sono originari dell’Abkhazia, enclave filorussa nella Georgia e ormai di fatto indipendente (è stata uno dei casus belli del conflitto Georgia-Putin di qualche anno fa insieme all’Ossezia). La sua famiglia è islamica, però la lingua abkhaza usa il cirillico. “Per farla breve a chi mi chiede da dove vengo io dico sempre che sono turco, così son contenti, anche se non è vero. Come faccio a spiegare alla gente cos’è l’Abkhazia? Non sanno neanche cos’è il Caucaso, si figuri l’Abkhazia. Che poi il Caucaso è un casino, ci sono 201 lingue”. Nella sua famiglia si continua a parlare la lingua, a rispettare le tradizione, ma lui l’abkhazo lo parla solo, non lo legge e non lo scrive. Si è sposata con una ragazza del Nagorno Kharabak, nel territorio dell’Azerbaigian ma autoproclamatosi repubblica indipendente: “Tanto per tare sul comolicato”, fa lui. Sorride, ah il Caucaso! Ecco, questo è stato il mio approccio geopolitico oggi a Berlino, e non mi lamento. Subito dopo, appena arrivato in hotel, inconveniente tecnico, non riuscivo più ad aprire email, non mi riconosceva la password. Prova e riprova, ho cambiato password e adesso incrociamo le dita. E che il festival cominci. Tra poco si va in Potsademarplatz a ritirare il badge. Alla prosssima puntata (se ne avete voglia).