Eccomi, DeMille, sono pronta per il mio primo piano.

Creato il 27 dicembre 2011 da Presidenziali @Presidenziali


Nell’era della tridimensionalità, il regista francese Michel Hazanavicius corre il rischio di effettuare un’operazione controcorrente, riportando la storia indietro di più di ottant’anni, al cinema delle origini. Il risultato è The Artist, una pellicola senza sonoro e in bianco e nero. 
George Valentin (Jean Dujardin) star del cinema muto, si trova all’apice della carriera proprio negli anni in cui Hollywood e i suoi produttori iniziano ad accorgersi delle potenzialità del sonoro. La sua strada si incrocia con quella di Peppy Miller (Bérénice Bèjo) una ragazza che sogna il grande cinema. Un incontro magico fin dai primi istanti e che non mancherà di avere conseguenze impreviste. Un conflitto tra opposti, tra due mondi diversissimi, tra due modi antitetici di concepire il cinema, arricchito da molte figure accattivanti e splendidamente delineate come il produttore burbero, ma dal cuore d’oro (John Goodman) o il fedele autista interpretato da James Cromwell. Quello che mi ha conquistata di The Artist, film che negli ultimi mesi è diventato un vero “caso” cinematografico, è che funziona benissimo e sorprendentemente, ciò avviene a prescindere dall’impressionante ingombro del suo progetto. Il rischio di un film simile era, chiaramente, quello di un’operazione studiata a tavolino, che ammiccasse ai cinefili (non necessariamente agli “esperti” quanto, piuttosto, agli amanti del cinema) dimenticando il pubblico, risultando quindi velleitaria, presuntuosa o – peggio ancora – fredda e sterile. In verità Hazanavicius utilizza l’artificio insieme scaltro e coraggioso della riproduzione filologica del cinema degli anni del muto, per restituire però un’esperienza di un’onestà e di una semplicità, rinfrescanti. Gigantesco è, lo sforzo messo in atto per ricreare scenografie e costumi. Niente è lasciato al caso e ogni immagine è una gioia per gli occhi. Inoltre, non mancano i pezzi di bravura, come la citatissima e irresistibile scena onirica in cui il sonoro “invade” il sogno del protagonista. Il risultato è emozionante, autentico, quando non commovente – penso al montaggio parallelo che introduce la risoluzione finale, o alla sequenza meravigliosa e altamente poetica in cui Peppy si infila una manica del soprabito appeso di George e mima un abbraccio dell’uomo di cui è innamorata.La sinossi ricorda, per ovvie ragioni, quella di uno dei massimi capolavori del cinema americano, Singin’ in the rain, ed è difficile non pensare a Gene Kelly di fronte alla mimica e al corpo del favoloso Jean Dujardin, ma la bellezza di The Artist è proprio nella sua capacità di non trincerarsi dietro una facile nostalgia fine a se stessa, né per quella del muto nello specifico né per l’inevitabile trasformazione che il cinema attraversa e continuerà ad attraversare lasciando alle sue spalle i detriti del passato. Quella che vuole raccontare Hazanavicius è una storia d’amore e di orgoglio, di ossessione e di rinascita, che prescindendo dai linguaggi con cui viene narrata, va dritta al cuore, pur mantenendo come perno inamovibile, la passione vitale e travolgente per quella fabbrica immensa di storie, emozioni e sogni che il cinema è, da sempre.
Voto: 8,5

 
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