Italia, 2012
95 minuti
Kaspar Hauser: sul misterioso Fanciullo d'Europa, finora sono stati scritti più di 3.000 libri, 14.000 articoli, e realizzati quattro film. A partire dal lontano 1915 con l'ononima opera di Kurt Matuli, passando per quella che ad oggi resta la versione più nota, L'Enigma di Kaspar Hauser (1974) diretto da Werner Herzog, fino ad approdare (letteralmente) all'originalissima e convulsa rilettura di Davide Manuli, promettente autore di un cinema italiano (ancora troppo) sommerso, qui alla sua seconda ed eccelsa prova dopo Beket (2008).
Quindi, tagliando subito la testa al toro, indirizzo qui, chiunque voglia approfondire sulla storia originale di Kaspar Hauser. Ciò che al momento interessa, è "la leggenda" rielaborata da Manuli, che prevede un luogo x, e un mare y, dove il cinema convenzionale si disintegra come un'asteroide, spargendo i suoi polverosi frammenti in un suolo riverberante (una Sardegna ritratta nella stessa monocromaticità dell'opera d'esordio) che assume geografie lunari, nel quale convivono disparati (e disperati) personaggi (lo Sceriffo e il Pusher - un immenso Vincent Gallo - la Duchessa, il Prete, la Veggente, il Drago) che sembrano affiorare da realtà distanti, o passate. L'androgino Kaspar (interpretato dalla theater actress Silvia Calderoni) al contrario, figura plastica (corpo latteo, tuta con la scritta UFO, cuffie e ciuffo biondo platino alla Alberto Camerini che fu) sospinta dal mare come un alieno precipitato per la prima volta sulla Terra, viene salvato dallo Sceriffo (e ucciso dal pusher - a conti fatti, Gallo è la guida ad eventi e destini e a tal riguardo, la prima inquadratura è metaforica), nutrito a pane ed acqua ed educato a suon di musica elettronica verso una fantomatica carriera da DJ. E qui risiede il cardine; l'opera di Manuli "sinterizza" particelle tecnologiche in un universo di (im)materia argentea destinato ad annullare qualsiasi spazio-temporalità (la Sardegna, come il Paradiso, non possono che avere la stessa conformazione) e generi, diffondendo gli echi sincopati (anche di reminiscenze beniane, nel monologo del Prete di fronte a un Kaspar letargico) di un cinema che non può che suonare come autentico urlo di ribellione. Il corpo attoriale si trasforma in macchina pulsante di vibrazioni uditivo/sensoriali (strabiliante la performance della Calderoni nel momento del risveglio all'interno della gabbia), addirittura scosso da convulsività di origini telecinetiche dove il verbo "io sono Kaspar Hauser", risuona ossessivamente in loop, come i samples di matrice electro-house che compongono l'ipnotica soundtrack dei Vitalic. Lo stepposo scenario si tramuta in un frenetico Dj set dove la musica da sintetizzatore diventa quindi il corpo essenziale, inarrestabile; cinema elettronico, palpitante e magnetico come nemmeno il film sul DJ berlinese Paul Kalkbrenner (Berling Calling, 2008) per esempio, nella sua naturale concezione, è riuscito ad esserlo.
Ritorna alla mente, che all'epoca dell'uscita di The Driller Killer (1979) di Abel Ferrara, lo slogan riportava "Questo film deve essere suonato a volume alto": frase più che appropriata anche per questo La Leggenda di Kaspar Hauser. Quindi, trovo sia fondamentale concludere con l'inserimento degli estratti dei tre passaggi a mio avviso più suggestivi. Cinema da ascoltare, innanzitutto.
L'arrivo di Kaspar Hauser
La morte di Kaspar Hauser
Kaspar in Paradiso