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"Echi di luce" nel cosmo

Creato il 12 luglio 2015 da Aliveuniverseimages @aliveuniverseim

Parliamo di un fenomeno astronomico poco noto ma molto suggestivo e che, negli ultimi anni, ha dato un grande contributo nello studio del mezzo interstellare (e non solo).

Nota: questo articolo ne riprende un altro realizzato dal sottoscritto per il sito quasar.teoth e anche per Wikipedia qualche anno fa.

Quello degli echi di luce in astronomia è un fenomeno piuttosto raro e poco noto, praticamente impossibile da trovare in libri d'astronomia che abbiano più di 15-20 anni; il suo studio ha conosciuto sviluppi notevoli (e imprevisti) solo ultimamente e si è capito che esso offre un metodo efficace ed insostituibile per sondare, da un lato, la materia interstellare e, dall'altro, per ricavare la distanza e le caratteristiche dell'astro che ne è all'origine.

Una eco acustica si genera, come ben noto, quando un breve suono viene emesso in direzione di un ostacolo che, riflettendolo, lo fa tornare indietro verso le nostre orecchie. Anche l'eco di luce segue lo stesso meccanismo ma, dato che la velocità di propagazione del segnale luminoso è circa 1 milione di volte maggiore di quello sonoro, la scala su cui avviene il fenomeno è generalmente molto più grande, una scala astronomica appunto.

L'eco si registra dunque in presenza di un evento transitorio, quando un oggetto celeste emette un intenso e breve lampo di luce (o altra radiazione elettromagnetica) che, propagandosi, illumina progressivamente la materia interstellare circostante, rendendola a noi visibile.

L'argomento è stato affrontato per la prima volta da P. Couderc (1939) per spiegare gli archi luminosi attorno alla Nova Persei del 1901; più recentemente, lo studio di questo fenomeno ha permesso di spiegare la curva di luce di alcune supernove extragalattiche e l'indagine sulla distribuzione della polvere interstellare davanti alla famosa supernova SN1987A nella Grande Nube di Magellano. Ma l'esempio più celebre e spettacolare è sicuramente la stella eruttiva V838 Monocerotis (figura in apertura) che, grazie all'Hubble Space Telescope, ha mostrato con un incredibile dettaglio l'espansione del guscio di luce generato durante l'eruzione nel Febbraio 2002 (si veda ad esempio la splendida animazione fatta a partire dalle immagini originali e applicando un "morphing"; per gli appassionati di fantascienza, ricorda vagamente il wormhole della serie Deep-Space Nine!).

La geometria del fenomeno è la seguente.

Supponiamo che un astro A emetta un lampo di luce intenso e di durata trascurabile all'istante t=0. Se l'oggetto si trova a una distanza D dalla Terra, allora vedremo arrivare la luce diretta del lampo all'istante T=D/c (c è naturalmente la velocità della luce nel vuoto, pari a 299792458 m/s).

Tuttavia, se attorno all'oggetto c'è un mezzo interstellare abbastanza denso da diffondere la luce del lampo, vedremo una sorta di eco man mano che il fronte d'onda sferico emesso da A raggiunge gusci sempre più esterni di questo materiale e viene riflesso anche nella nostra direzione. Il ritardo con cui questa eco viene osservata è funzione della distanza della zona illuminata sia da A che dall'osservatore O, poichè il segnale deve percorrere entrambi i tratti; se chiamiamo r e d queste due distanze, allora l'eco verrà osservato in O all'istante:

t=(d+r)/c

matematicamente, una volta fissato t, questa equazione descrive un ellissoide di rotazione in cui i due fuochi sono occupati da A e O e il cui asse maggiore corrisponde alla distanza totale percorsa dalla luce.

Come si vede nella figura, man mano che il tempo passa (a intervalli indicati come dt), questo ellissoide diventa sempre più ampio e meno allungato; perciò osservazioni prolungate nel tempo ci permettono di tracciare una mappa della distribuzione tridimensionale del mezzo attorno ad A, sommando queste sezioni ellissoidali un pò come si fa con la tomografia diagnostica (TAC).

Se ci concentriamo nelle immediate vicinanze di A, allora osserviamo ad angoli di separazione piccoli ( D>>r); sotto questa approssimazione, i raggi di luce diretti verso l'osservatore si muovono praticamente paralleli. Perciò, mettendoci su un piano passante per O e A, raggi che arrivano nello stesso istante t è come se partissero da una retta r perpendicolare alla linea di vista; questa retta si allontana progressivamente dall'osservatore a velocità ct passando per A all'istante t=0 (il momento dell'esplosione stellare)

Come si vede nel disegno, l'insieme dei punti che, riflettendo il lampo emesso da A, appaiono all'osservatore con lo stesso ritardo t saranno disposti su una parabola, descritta dall'equazione:

z = x2/ct - ct/2

Il vertice della parabola (che appare esattamente dietro l'astro A) si allontana da noi a velocità c/2 poiché il ritardo complessivo è il tempo che la luce impiega ad andare e tornare indietro verso di noi dopo la riflessione.

Curiosamente, si può dimostrare che se il lampo di luce incontra una zona densa di materia interstellare (ad esempio un guscio di materiale emesso dall'astro A migliaia di anni prima), questo dà luogo, nelle fasi iniziali, a una immagine che sembra espandersi a velocità superluminale (ovvero > c). Un simile effetto, dovuto all'intersezione geometrica del paraboloide con lo strato di materia, ovviamente non costituisce una violazione del principio di relatività perchè non c'è nulla (nè particelle, nè informazione) che si muova davvero a velocità maggiore della velocità della luce!

La figura sottostante fa parte di una simulazione geometrica dell'eco di V838 Monocerotis che ho realizzata utilizzando le formule riportate in alto e proiettando le immagini di Hubble su un paraboloide con il programma di rendering open-source "PovRay".

L'astro centrale è posto all'origine, dove si intersecano gli assi (l'asse z, che unisce astro e osservatore, va verso destra); e' riportata anche la lunghezza di 1 anno luce come riferimento.

Qualche anno fa, anche gli astrofili sono stati incoraggiat i a cercare i deboli echi luminosi dalle supernove "storiche" come quelle osservate nel 1054 dai cinesi o nel 1572 da Tycho. La ricerca consiste nell'esaminare ampie regioni attorno al punto dell'esplosione nella speranza di cogliere l'attimo in cui una nube di polvere più densa viene illuminata dal guscio luminoso emesso secoli prima dalla supernova.

Naturalmente, gli echi possono venire osservati anche a lunghezze d'onda diverse da quelle della luce visibile e recentemente ne abbiamo avuto diversi esempi.

Un primo esempio è stato pubblicato da Elisabetta Bonora pochi giorni fa su queste pagine e riguarda le onde concentriche emesse dal buco nero V404 Cygni e riprese dal satellite Swift nei raggi X.

Un esempio simile a questo è stato recentemente fornito dal satellite Chandra sulla sorgente Circinus X-1. In questo caso, il flare di raggi X, incidendo su 4 diversi strati di gas interposti tra noi e la sorgente (che è una stella di neutroni) ha creato altrettanti anelli di radiazione diffusa.

Immagine Chandra di Circinus X-1; i colori riflettono diverse energie dei raggi X ed è stata aggiunta l'immagine "Digitized Sky Survey" delle stelle visibili. - Credits: NASA/CXC/Univ. of Wisconsin-Madison/S.Heinz et al.

Un ultimo caso riguarda gli echi infrarossi registrati qualche anno fa dal telescopio Spitzer intorno al residuo di supernova Cassiopea A:

Regione di Cas-A ripresa da Spitzer nel 2003/4, (campo orizzontale inquadrato di 0.75°, Nord a sinistra) - Credits: NASA / JPL-Caltech / O. Krause (Steward Obs.)

Le due immagini, riprese a circa 1 anno di distanza, mostrano intorno al residuo di supernova (il globo giallo al centro) una serie di piccoli noduli luminosi che sembrano recedere dal centro alla velocità della luce; in realtà, si tratta di condensazioni di polvere che stanno ferme e che vengono illuminate e riscaldate da un flash di luce in espansione, emesso recentemente dalla stella di neutroni che è il residuo collassato dell'esplosione avvenuta oltre 300 anni fa.


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