Le idee ecologiste reazionarie di cui abbiamo tracciato un profilo esercitarono un’influenza profonda e durevole su molte delle figure centrali della NSDAP. La cultura di Weimar, dopo tutto, affiorava abbondantemente, ma il nazismo diede loro un’inflessione particolare. La “religione della natura” nazionalsocialista, come l’ha descritta uno storico, era una mistura volatile di misticismo primitivo teutonico, ecologia pseudo-scientifica, anti-umanesimo irrazionalista e mitologia della salvezza razziale attraverso un ritorno alla terra. I suoi temi predominanti erano “l’ordine naturale”, l’olismo organicista e la denigrazione dell’umanità: «In tutti i loro scritti, non solo quelli di Hitler, ma anche della maggior parte degli ideologi nazisti, si può distinguere un fondamentale disprezzo dell’umano di fronte alla natura e, come corollario logico, un attacco contro gli sforzi umani di dominare la natura» (25). Citando un educatore nazista, la stessa fonte continua: «le visioni antropocentriche in generale dovevano essere respinte. Sarebbero valide solo “se si presumesse che la natura è stata creata per l’uomo. Noi respingiamo decisamente questo atteggiamento. Secondo la nostra concezione della natura, l’uomo è un legame nella catena vivente della natura solo come qualsiasi altro organismo”» (26).
Tali argomenti sono moneta corrente in modo che fa rabbrividire nel discorso ecologico contemporaneo: la chiave all’armonia socio-ecologica è accertare “le leggi eterne dei processi di natura” (Hitler) e organizzare la società in corrispondenza ad essi. Al Führer piaceva in modo particolare sottolineare la “impotenza dell’umanità di fronte alla legge eterna della natura” (27). Echeggiando Haeckel e i Monisti, “Mein Kampf” annuncia: «Quando il popolo tenta di ribellarsi contro la ferrea logica della natura, entra in conflitto con gli stessi principi a cui deve l’esistenza come esseri umani. Le loro azioni contro natura devono condurre alla loro caduta» (28).
Le implicazioni autoritarie di questo punto di vista sull’umanità e la natura diventano anche più chiare nel contesto dell’enfasi nazista sull’olismo e l’organicismo. Nel 1934 il direttore dell’Agenzia per la Protezione della Natura del Reich, Walter Schoenichen, stabilì i seguenti obiettivi per i programmi di biologia: «Molto presto, il giovane deve sviluppare una comprensione dell’importanza civica “dell’organismo”, cioè il coordinamento di tutte le parti e degli organi per il beneficio dell’unico e superiore compito della vita» (29). Questo (ora familiare) adattamento non mediato di concetti biologici a fenomeni sociali serviva a giustificare non solo l’ordine sociale totalitario del Terzo Reich ma anche le politiche espansioniste del Lebensraum (il piano di conquista dello “spazio vitale” in Europa orientale da parte dei popoli tedeschi). Forniva anche il legame tra purezza ambientale e purezza razziale:
«Due temi centrali della biologia vengono (secondo i nazisti) dalla prospettiva olistica: la protezione della natura e l’eugenetica. Se uno guarda la natura come a un tutto unificato, gli studenti automaticamente svilupperanno un senso per l’ecologia e la conservazione ambientale. Allo stesso tempo, l’idea di protezione della natura dirigerà l’attenzione alla razza umana moderna urbanizzata e “supercivilizzata”» (30).
In molte varietà della visione del mondo nazionalsocialista temi ecologici furono legati al tradizionale romanticismo agrario e all’ostilità per la civiltà urbana, il tutto intorno all’idea del radicamento nella natura. Questa costellazione concettuale, specialmente la ricerca di una connessione perduta con la natura, fu più pronunciata che mai tra gli elementi neo-pagani della leadership nazista, soprattutto Heinrich Himmler, Alfred Rosenberg e Walther Darré. Rosenberg scrisse nel suo colossale “Il mito del XX secolo”: «Oggi vediamo il continuo flusso dalla campagna alla città, mortale per il Popolo (Volk). Le città si gonfiano sempre più, indebolendo il Popolo e distruggendo i fili che uniscono l’umanità alla natura; attraggono avventurieri e profittatori di ogni colore, favorendo perciò il caos razziale»(31).
Tali meditazioni, si deve sottolineare, non erano semplice retorica; riflettevano fermamente opinioni salde e, in realtà, pratiche proprio in cima alla gerarchia nazista che oggi sono associate convenzionalmente con l’atteggiamento ecologico. Hitler e Himmler erano entrambi rigidi vegetariani e amanti degli animali, attratti dal misticismo della natura e dalle cure omeopatiche e strenui oppositori della vivisezione e della crudeltà verso gli animali. Himmler stabilì persino fattorie organiche sperimentali per coltivare erbe a scopo medicinale per le SS. E Hitler, a volte, poteva suonare come un vero utopista verde, quando discuteva autorevolmente e in dettaglio varie risorse energetiche rinnovabili (compreso l’uso ambientalisticamente appropriato dell’energia idroelettrica e la produzione di gas naturale dai fanghi) come alternative al carbone e dichiarava “l’acqua, i venti e le maree” la strada energetica del futuro (32).
Anche in piena guerra, i leader nazisti mantennero il loro impegno verso gli ideali ecologici che erano, per loro, un elemento essenziale del ringiovanimento razziale. Nel dicembre 1942 Himmler emanò un decreto “Sul trattamento della terra nei Territori orientali” che si riferiva alle porzioni di Polonia recentemente annesse. Diceva in parte:
«”Il contadino del nostro ceppo razziale si è sempre sforzato con cura di aumentare i poteri naturali del suolo, delle piante e degli animali e di conservare l’equilibrio della natura. Per lui, il rispetto della creazione divina è la misura di tutta la cultura. Se, perciò, i nuovi Lebensräume (spazi vitali) devono diventare una patria per i nostri coloni, la sistemazione pianificata del paesaggio per mantenerlo vicino alla natura è un pre-requisito fondamentale. E’ una della basi per fortificare il Volk tedesco» (33).
Questo brano ricapitola quasi tutti i luoghi comuni compresi dall’ideologia ecofascista classica: Lebensraum, Heimat, l’agraria mistica, la salute del Volk, la vicinanza e il rispetto per la natura (esplicitamente costituito come lo standard su cui deve essere giudicata la società), la conservazione del precario equilibrio della natura e i poteri terreni del suolo e delle sue creature. Tali motivi non erano affatto idiosincrasie personali da parte di Hitler, Himmler o Rosenberg; Persino Göring – che era, insieme a Goebbles, il membro del cerchio interno nazista più refrattario alle idee ecologiste – appariva a volte un ecologista impegnato (34). Queste simpatie non erano affatto ristrette agli strati superiori del partito. Uno studio sui registri dei membri di parecchie organizzazioni uffiali Naturschutz (protezione della natura) dell’epoca di Weimar rivelarono che per il 1939, un intero 60% di questi conservazionisti si erano uniti alla NSDAP (a paragone con circa il 10% degli adulti e il 25% degli insegnanti e degli avvocati) (35). Chiaramente le affinità tra ambientalismo e nazionalsocialismo erano profonde.
A livello di ideologia, quindi, i temi ecologisti giocarono un ruolo vitale nel fascismo tedesco. Sarebbe un grave errore, comunque, trattare questi elementi come semplice propaganda, abilmente portata avanti per mascherare il vero carattere del nazismo come mostro tecnocratico-industrialista. La storia definitiva dell’anti-urbanesimo e del romanticismo agrario lo proclama apertamente:
«Nulla potrebbe essere più sbagliato che supporre che la maggior parte dei principali ideologi nazisti avessero cinicamente finto un romanticismo agrario e un’ostilità verso la cultura urbana, senza una convinzione intima e per semplici scopi elettorali e propagandistici, allo scopo di ingannare il pubblico […]. In realtà, la maggioranza dei principali ideologi nazisti erano senza dubbio più o meno propensi al romanticismo agrario e l’anti-urbanesimo e convinti della necessità di un relativo ritorno all’agricoltura» (36).
Comunque resta la questione: Fino a che punto i nazisti effettivamente applicarono politiche ambientaliste durante i dodici anni del Terzo Reich? Vi sono forti prove che la tendenza “ecologica” nel partito, anche se oggi è largamente ignorata, ebbe considerevole successo per la maggior parte del regno del partito. Questa “ala verde” della NSDAP era rappresentata soprattutto da Walther Darré, Fritz Todt, Alwin Seifert e Rudolf Hess, le quattro figure che principalmente modellarono l’ecologia fascista nella pratica. (segue)
Note
25. Robert Pois, National Socialism and the Religion of Nature, London, 1985, p. 40.
26. ibid., pp. 42-43. La citazione interna è presa da George Mosse, Nazi Culture, New York, 1965, p. 87.
27. Hitler, in Henry Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier 1941-1942, Stuttgart, 1963, p. 151.
28. Adolf Hitler, Mein Kampf, München, 1935, p. 314.
29. Citato in Gert Gröning e Joachim Wolschke-Bulmahn, “Politics, planning and the protection of nature: political abuse of early ecological ideas in Germany, 1933-1945″, Planning Perspectives 2 (1987), p. 129.
30. Änne Bäumer, NS-Biologie, Stuttgart, 1990, p. 198.
31. Alfred Rosenberg, Der Mythus des 20. Jahrhunderts, München, 1938, p. 550. Rosenberg fu, almeno nei primi anni, il principale ideologo del movimento nazista.
32. Picker, Hitlers Tischgespräche, pp. 139-140.
33. Citato in Heinz Haushofer, Ideengeschichte der Agrarwirtschaft und Agrarpolitik im deutschen Sprachgebiet, Band II, München, 1958, p. 266.
34. See Dominick, The Environmental Movement in Germany, p. 107.
35. ibid., p. 113.
36. Bergmann, Agrarromantik und Großstadtfeindschaft, p. 334. Ernst Nolte pone un’argomentazione simile in Three Faces of Fascism, New York, 1966, pp. 407-408. Vedi anche Norbert Frei, National Socialist Rule in Germany, Oxford, 1993, p. 56: “Il cambio di direzione verso il ‘suolo’ non era stata una tattica elettorale. Fu uno degli elementi ideologici basilari del nazionalsocialismo. . . “