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Economia (e societa') in gabbia: discutere ed informarsi per riaccendere la speranza?

Creato il 17 dicembre 2013 da Alessandro @AleTrasforini
Se la recessione dovesse finire, si potrebbe arrivare (presto? quando?) alla tanto desiderata crescita in questa Italia distrutta. Se la recessione dovesse attenuarsi, si potrebbe arrivare alla meno desiderata (ma comunque positiva?crescita zero: sembra essere quest'ultimo lo scenario più probabile per lo Stato italiano nel trimestre conclusivo del presente anno 2013.  Dai toni del dibattito pubblico è possibile evincere che, qualora questa crescita dovesse arrivare, larga parte dei problemi del Paese potrebbero essere dati per scomparsi e/o dispersi: serve davvero solo dare il "segno +" alla macro-economia per potersi dire veramente guariti e salvi?  Quando (come sembra dal 2014) questo segno arriverà si assisterà (forse) a teatrini e commedie di una certa "politica" e di una cert'altra "informazione", disposte a dipingere ogni italiano come attore scampato ad una lunghissima "perfect storm" su una zattera malconcia e disastrata chiamata "Italia". Si elogeranno radicali parole e concetti mancati per un inenarrabile periodo di tempo e divenuti obiettivi da realizzare in fretta e furia quali: riformismo, stabilità, provvedimenti economici volti a coniugare uguaglianza e sviluppo, capacità di Governo ed Amministrazione della "res publica", [...].  Il messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sembra indicare ancora una volta (di troppo?) questa necessità di adoperarsi per impedire una catastrofe ed una deriva sociale non ancora scongiurata...e neppure forse mai più scongiurabile fino a quando le condizioni macro-economiche non riusciranno a cambiare radicalmente e definitivamente.  Le parole riportate nel discorso di ieri risuonano come emblematiche del rischio di "cortocircuito perenne" a cui questa Italia rischia di essere sottoposta nel breve-medio e lungo termine: 
"[...] L'Italia, i suoi cittadini, le sue forze politiche, sono protesi nello sforzo di superamento di una fase difficile e sofferta, che non ha però mancato di rafforzare la convinzione, in una parte sempre più larga dell'opinione pubblica, che tra i doveri delle istituzioni vi sia quello di garantire alla nazione stabilità politiche e governabilità. [...] Sono in pochi [...] coloro che dubitano che, nel rispetto rigoroso dei principi sanciti dalla Costituzione, si debba por fine a quella fragilità endemica che ha caratterizzato in passato le sorti dei troppi governi, impedendo loro di rispondere con piena efficacia e con una adeguata visione strategica alle sfide poste al Paese dal sempre mutevole contesto internazionale. [...]  Modifiche (all'assetto istituzionale, nds) da tempo delineate, ma finora mai giunte all'approvazione conclusiva del Parlamento, dell'ordinamento della Repubblica quale fu sancito nella seconda parte della nostra Costituzione. Si tratta di un disegno di riforme istituzionali, che proprio ieri ho chiamato tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione a discutere e definire nei prossimi mesi. [...]  l'Italia non deve solo concentrarsi sui suoi "complessi problemi interni", ma vuole superare questa "difficile fase storica" costruendo, "su solide fondamenta, un'immagine internazionale del Paese più in linea con le sue potenzialità, il suo patrimonio, ideale, culturale e naturale, e i suoi inconfondibili talenti". L'obiettivo è "rendere il nostro Paese ancora più competitivo ed attrattivo", perché "il rinnovamento del nostro sistema-Paese in un'Europa più integrata è un imperativo che le sfide del mondo globalizzato ci impongono tassativamente". [...]  E' difficile negare che il processo di integrazione europea viva adesso uno dei momenti più complessi e contraddittori della sua storia [...]. Alimentati dall'insoddisfazione della crisi economica, che ha le sue origini nella sregolata crescita della finanza mondiale, hanno guadagnato peso crescente posizioni di scetticismo e ostilità verso la costruzione europea.[...]  Il 2014 sarà l'anno delle elezioni per  Parlamento europeo [...].  E sarà anche l'anno del semestre italiano di presidenza dell'Unione. Il nostro Paese intende affronta questi due impegni con la consapevolezza che si tratta di momenti importanti per il percorso di integrazione europea e per il futuro dell'Italia". "Un processo [...] che dopo essersi prevalentemente concentrato sul cammino obbligato della stabilizzazione fiscale e del rigore di bilancio, deve risolutamente imboccare la strada di politiche per l'occupazione e la crescita, che possono rendere più evidenti le ragioni del nostro processo di integrazione, le esigenze ineludibili di una più stretta e solidale unità dell'Europa. [...]"
L'orizzonte di decisione politica non dovrebbe infatti limitarsi all'agire per assicurare riformismo e decisioni in vista di un solo semestre italiano di Presidenza, bensì provare a definire un nuovo orizzonte che sappia apprendere conclusioni utili dagli errori commessi in passato. E' utopia credere e profondo errore far credere che, durante questi prossimi fatidici sei mesi, si potrà riparare alle molte decisioni "discutibili" sia assunte che subite nelle sedi rispettivamente nazionale e continentale: le forze trainanti e dominanti della Germania e delle politiche di austerità non verranno di certo silenziate durante la presidenza italiana, per scriverla in parole povere. L'impressione più viva risiede (purtroppo) nella consapevolezza che, per innescare davvero una svolta positiva al futuro italiano e continentale, sia necessario compiere notevoli passi in avanti cercando di concretizzare nei fatti una massima attribuita a George Santayana:  "Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo." Allo stesso modo, infatti, chi non sarà capace di apprendere positive lezioni da ogni "passo falso" commesso in passato rischia di vedersi costruito un futuro fatto di "azzoppamenti ciclici".  Le necessità di affrontare tematiche quali integrazione europea, misure per la crescita e provvedimenti per la stabilizzazione istituzionale sono sicuramente urgenti ma non necessarie per "istituzionalizzare" le proteste attualmente in corso e/o per metabolizzare al meglio possibile il disagio sociale passato, presente e futuro che non tarderà probabilmente a manifestarsi.  Le elezioni per il Parlamento Europeo avverranno infatti in un contesto nazionale che, salvo miracoli dell'ultima ora, poco o nulla (vuole) conosce(re) della reale importanza e funzionalità di un comune "Parlamento continentale".  Sono troppo vivide (,livide e giustificabili) le percezioni di un'Europa capace di imporre esclusivamente cappi al collo di Stati "reprobi" a fronte di cittadini non doverosamente informati(si) ed interessati(si) alle forme utilizzate per governare la "res publica": impliciti i riferimenti ad accordi continentali di abbattimento del debito pubblico dalle controverse interpretazioni, implicite le procedure di sforamento del deficit annuale con percentuali inferiori al 3%, [...]. Queste sono solamente alcune delle macro-aree con cui vengono oggi identificati i concetti di Europa e di politiche europee: qualcosa di non completamente "utile" per la salvezza di un Paese, a voler essere buoni.  Le "spinte populiste" sono solite agire soprattutto (ma non completamente) a seguito di fenomeni terribilmente complessi che sono soliti porre domande dalla difficilissima risoluzione: potrebbero i "populismi" costituire la risposta più semplificata possibile (non semplice) alla degenerazione socio-economica di questi tempi?  Il cittadino medio e mediamente informato (è stato messo nella condizione di) capisce (capire) poco o nulla davvero di concetti quali: debiti sovrani, derivati, swapbundbtp, mercati finanziari, [...].  Da questi punti di vista scomodi ma attuali emerge, pertanto, la necessità di adoperarsi per minimizzare le probabilità di incedere in nuovi "azzoppamenti": combattere questo rischio equivale ad ampliare gli sguardi oltrepassando la recente politica di "navigazione a vista". Oltrepassare questa politica di "navigazione a vista" potrebbe soprattutto significare ampliare il campo di azione di domande e di questioni oggi particolarmente "scomode" da porre...e da porsi: 
  • Di quanta "crescita" avrebbe bisogno davvero l'Italia per abbattere i livelli di debito pubblico, fornire risorse all'economia reale ed ottemperare a quanto stabilito per restare dentro ai Trattati Europei? 
  • Quali "meccanismi" è lecito ridiscutere e/o provare a (ri)modificare per scongiurare il ripresentarsi di un cortocircuito che sottragga risorse all'economia reale per rimediare ad errori attribuibili alla "finanziarizzazione" incontrollate?
  • Quali "riforme" indesiderate ed impopolari sarebbe necessario intraprendere per definire meglio i processi di integrazione? Quali "porzioni di sovranità" sarebbe necessario cedere ulteriormente?
Queste sono solo alcune delle possibili domande su cui sarebbe opportuno imbastire riflessioni per definire decisioni e/o collettive discussioni. Limitarsi allo svolgimento di discorsi fatti di generici elenchi della spesa, di promesse (s)vuot(at)e e (post)datate, parole chiave senza (efficaci ed immediate) connessioni alla realtà, [...] rischia di essere l'ennesimo "boomerang" per chi si propone di governare un'Italia (quasi completamente) distrutta. Per non parlare, poi, della reale necessità di dover impiegare risorse ingenti per rinnovare la differenza fra politiche di destra e politiche di sinistra: ad oggi è soprattutto questa la missione più difficile per chi cerca consenso finalizzato al proporsi come forza di Governo.  Il superamento di una "fase difficile e sofferta" come questa dovrebbe significare non adagiarsi al raggiungimento della crescita targata "+zerovirgola", lasciando (dis)perdere tutti i precedenti e passati allarmi.  Il superamento di una fase difficile e sofferta dovrebbe significare la necessità di discutere attorno a concetti sulla cui utilità sono da tempo in corso dibattiti (eufemisticamente) condotti "sotto traccia", quale è ad esempio quello costituito dalla "Tobin tax". Tale tassa, da applicarsi a certe transazioni finanziarie, ha costituito una battaglia prima rapidamente intrapresa (senza convinzione?) e poi altrettanto velocemente accantonata all'interno della Legge di Stabilità in corso di approvazione nelle Aule Parlamentari.  Quale sarebbe il quadro di definizione per tale misura?  Fra le voci possibili si riporta quella del giornalista Federico Rampini, citando un frammento proveniente dalla sua ultima opera "Banchieri - Storie dal nuovo banditismo globale": 
"[...] Di tutti gli antidoti in circolazione, il più efficace resta la Tobin tax, cioè l'imposizione di un prelievo fiscale su ogni transazione finanziaria.  La Tobin tax avrebbe un'aliquota olto bassa, sicchè l'impatto sul risparmiatore sarebbe insignificante.  Ma essendo una tassa che scatta a ogni operazione, il suo costo sarebbe invece tutt'altro che trascurabile [...]. la Tobin Tax colpirebbe [...] proprio [...] i grandi squali delle transazioni finanziarie alla velocità della luce [...]  la Tobin Tax appare e scompare, ma finisce sempre su un binario morto.  E' forse l'unico caso di una tassa che piacerebbe 'al 99 per cento' delle persone, ma l'1 per cento che ne blocca l'approvazione ha dimostrato di avere un potere di veto[...] insormontabile. [...] Solo undici membri dell'Eurozona hanno cercato di portarla avanti, tra continui ritardi e tentennamenti.  Intanto, ventimila leghe sotto i mari, la folle gara dell'alta velocità speculativa non conosce tregua. [...]"
La mancata tregua finisce per ripercuotere i suoi danni anche su un'economia reale già terribilmente provata, allo stato attuale delle cose ben visibili da tutti.  In un tempo economico-finanziario tragico, inoltre, la politica rischia nei fatti di essere svilita nelle sue possibilità di amministrazione e Governo della "res publica": se devi solo tagliare è meno probabile far progredire un sistema sia in chiave sociale che economica, per scriverla in parole povere.  In un tempo economico-finanziario tragico, pertanto, rischiano di vedersi ancor più giustificabili le spinte "populiste" e legittimati i punti di vista secondo cui la politica (e politici) è identificabile come schiava del sistema bancario (e quindi dei banchieri). Quest'altro punto di "bassa" dovrebbe essere adeguatamente pesato, all'interno di una discussione collettiva degna di essere identificata come tale. Il rischio di vedere definitivamente legittimate ed avverate tali visioni viene descritta in termini esaurienti dallo stesso Rampini nel medesimo testo sopra riportato: 
"[...] Le critiche a cui si espongono (i governatori delle banche mondiali, nds)  sono virulente.  Bernanke [...] è stato accusato più volte dalle nazioni emergenti che dietro l'espansione monetaria hanno dennciato una strategia del 'dollaro debole' ai loro danni.  A difenderli [...] è uno dei massimi dirigenti della Bri di Basilea, Jaime Caruana, secondo il quale 'le banche centrali sono costrette ad esere le autorità di ultima istanza', perchè le politiche economiche dei Governi sono state fin qui insufficienti.  Su quest'ultima constatazione sono d'accordo in molti.  Il gioco è nelle mani delle banche centrali.  Sempre di più sono loro a infilarsi, con un ruolo di supplenza, dove i Governi non vogliono o non riescono ad arrivare. La politica in alcuni casi sembra relegata in secondo piano.  Idem per il controllo democratico delle opinioni pubbliche.  Un premio Nobel di sinistra ed un erede della scuola ultraliberista di Chicago convergono nel constatare il nuovo protagonismo delle banche centrali.  Il Nobel Joseph Stiglitz [...] evoca "l'enorme potere che si concentra su queste istituzioni non elettive". [...]"
In parole povere, riprendendo il recente passato, è bastato il "whatever it takes" per salvare l'Euro pronunciato da Mario Draghi, Presidente della Bce ad innescare una prima svolta nella crisi di fiducia che dominava i "mercati". Un dibattito pubblico rivolto all'impedire il verificarsi di "azzoppamenti ciclici" potrebbe comprendere anche argomenti di discussione simili a questi.  Il cortocircuito non si scongiurerà solo con percentuali irrisorie di crescita ma, soprattutto, attraverso un meccanismo di analisi radicale e complessa dei meccanismi strutturali che hanno condotto il mondo intero fino a questo punto. L'involuzione diffusasi a macchia d'olio ha avuto un iter reso chiaro attraverso pochissime parole da Giulio Napolitano, all'interno del libro "Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali" e citato dallo stesso Rampini nella sua recente opera: 
"[...]'Il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 e il conseguente panico sui mercati finanziari hanno costretto gli Stati a intervenire per soccorrere banche ed intermediari. Ma dopo appena due anni sono emerse l'insostenibilità del debito sovrano e l'incapacità di un numero crescente di Governi di affrontare i conseguenti problemi di liquidità e di solvibilità.  Gli Stati hannno quindi dovuto pensare a salvare se stessi.' E' importante ricordare  questo punto di partenza, così velocemente dimenticati nei dibattiti attuali sull'austerity. [...]" 
E' importante ricordare e discutere, dunque.  E' importante ricordare per evitare che la "crescita debole" o la "recessione piccola" vengano scambiate per vie di fuga definitive dallo stato di crisi, è importante discutere per allargare il bacino delle possibili soluzioni ed allontanare il baratro di prospettive (eufemisticamente) definibili come non esaltanti.  E' importante discutere per ritrovare un punto di partenza nuovo, senza dover per forza ricercare consenso attraverso promesse di politiche di "Sinistra senza portafoglio e senza redistribuzione delle ricchezze". Non basta, specialmente sul lungo termine, ricercare consensi affermando genericamente che ora è l'Italia a dover chiedere qualcosa all'Europa quando, nei fatti passati e recenti, le politiche maggioritarie sono state svolte sottostando ad un general-generico "Ce lo chiede l'Europa".  Servono chiarezza, competenza e, purtroppo o per fortuna, conoscenza e padronanza della complessità che continuerà a circondarci. Tali difficoltà prescindono dalla crisi "circostante".  Citando lo storico Carlo M.Cipolla, infatti, è possibile scrivere che: 
"Tutto il processo economico è quindi un problema di scelte: scelte da parte dei consumatori e scelte da parte dei produttori. In ultima analisi le scelte si impongono perché le risorse sono limitate rispetto ai desideri."
ECONOMIA (E SOCIETA') IN GABBIA: DISCUTERE ED INFORMARSI PER RIACCENDERE LA SPERANZA?
Per saperne di più: 
"Banchieri - Storie dal nuovo banditismo globale", F.Rampini, Strade blu - Mondadori
"Legge stabilità: accantonato emendamento su Tobin tax a 0,01 per cento. Ok correzione tagli a cuneo fiscale.", Il Sole 24 Orehttp://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-12-13/legge-stabilita-accantonato-emendamento-tobin-tax-001-cento-ok--correzione-tagli-cuneo-fiscale--212634.shtml?uuid=ABhfIxj
"Napolitano: 'Italiani vogliono governabilità. Riforme pongano fine a fragilità degli esecutivi.",Repubblica.it http://www.repubblica.it/politica/2013/12/17/news/napolitano_italiani_vogliono_governabilit-73816561/

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