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Economia globale e destino geopolitico cinese

Creato il 09 maggio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

L’economia globale e il destino geopolitico della Cina

La Cina è cresciuta al ritmo più lento degli ultimi tre anni, con una crescita annuale dell’8,1% nel primo quadrimestre del 2012, a causa del rallentamento delle esportazioni e di un mercato immobiliare debole. Alcuni considerano il rallentamento della crescita del PIL nel corso dello scorso anno come un punto di svolta significativo nelle vicende economiche cinesi.

Michael Pettis, professore di management all’Università di Pechino, ritiene che non passerà molto tempo prima che la Cina debba faticare per raggiungere un tasso di crescita del 3,5%, sullo stesso livello delle più forti economie industriali avanzate in via di sviluppo. Nonostante Pettis non si aspetti di vedere “una grave contrazione nella crescita prima della fine del 2013″, afferma che “la Cina sarà l’ultima, tra le maggiori economie, a uscire dalla crisi finanziaria globale. Perché? Perché l’enorme aumento degli investimenti che la Cina ha progettato per posticipare l’impatto della crisi globale sulla propria economia interna ha aggravato gli squilibri all’interno dell’economia e ha aumentato la sua dipendenza (già eccessiva) dal debito e dall’investimento per generare crescita.”

Ciononostante finora la Cina è passata quasi incolume attraverso la crisi economica, come ha sottolineato Barry Eichengreen nel suo articolo di questa settimana. “Anche se la crescita economica della Cina rallenta arrivando al 7,5%, come anticipato nelle ultime previsioni ufficiali di crescita da parte del governo”, afferma, “questa cifra rappresenterà comunque il triplo del tasso di crescita degli USA, dove l’espansione economica dopo la crisi resta depressa. Tra non molto tempo la Cina supererà gli USA come pura grandezza economica. E, con il capovolgimento delle sorti in campo economico, verrà anche un capovolgimento delle sorti in ambito politico, dato che la Cina assumerà il ruolo di guida nello scenario geopolitico globale. Il 21° secolo, in quest’ottica, sarà il secolo della Cina.”

Il gruppo analisi e ricerca di Citigroup prevede che il PIL della Cina, misurato in dollari per ottenere pari termini di forza, supererà quello degli Stati Uniti entro il 2020 (21,98 trilioni di dollari contro 19,1).

Tuttavia, come nota Eichengreen, un gran numero di fattori può contribuire a smentire queste previsioni. La Cina, suggerisce Pettis, potrebbe raggiungere il limite. Il nuovo modello di crescita basato sul crescente consumo interno, necessario a compensare il rallentamento della crescita delle esportazioni, potrebbe contribuire più lentamente di quanto sarebbe necessario per sostenere un tasso di crescita medio del 7,5%. L’America potrebbe godere di una rinascita economica attraverso un ritorno dell’industria. Per molti anni sarà ancora improbabile che la Cina sia in grado di emulare la cultura dinamica e l’ingegno innovativo degli USA. L’impressionante crescita del PIL del 4,4% nell’ultimo trimestre del 2011 e la progressiva crescita dell’occupazione che hanno accompagnato la ripresa dalla recessione globale sono presagi di un futuro economico americano più forte.

“E allora è già finita l’era dell’ascesa cinese e del declino americano” chiede Eichengreen.

“Non così veloce” risponde. La crescita della Cina può essere in rallentamento, ma il grande obiettivo del tasso di crescita è raggiungibile, con molto spazio alla flessibilità a livello politico e continui segnali di espansione oltre le città industriali costiere e il rinnovamento industriale, che procede a gran velocità nel cuore industriale della Cina. E, nonostante la ripresa economica degli USA appaia sicura, nessuno pensa che il tasso di crescita dell’ultimo trimestre del 2011, sospinto come è stato da enormi ricostituzione delle scorte di magazzino, possa continuare. Per gli Stati Uniti il problema più grave è fronteggiare l’impasse politico che impedisce loro di affrontare i problemi fiscali strutturali,che non si risolveranno automaticamente con la tornata elettorale di novembre.

Eichengreen conclude correttamente: il fatto che i politici cinesi debbano riconoscere e affrontare le principali sfide che sono poste davanti alla loro economia, e che gli USA abbiano raggiunto risultati positivi nel corso degli ultimi tre anni, non cambia il fatto che la Cina continuerà a ridurre le distanze dagli USA in termini di PIL.

Ciò che sta accadendo all’economia della Cina e la sua posizione in relazione a quella degli USA, ovviamente, ha importanti implicazioni sia a livello di politica interna sia a livello geopolitico. Un’economia che cresce circa del 10% ogni anno, e che raddoppia la sua dimensione ogni sette anni, genera nuovi, enormi problemi e nuove sfide anno dopo anno, mese dopo mese. La Cina, come abbiamo avuto modo di ricordare in occasione delle agitazioni avvenute in seguito all’allontanamento di Bo Xilai, ex capo di partito di Chongqing, dal politburo, non è priva di discussioni, discordie e dure contestazioni politiche. Il fatto che questo stia avvenendo da oltre trent’anni significa che la Cina è ad oggi un paese molto diverso non solo rispetto a trent’anni fa, ma anche solo rispetto a dieci anni fa.

La tensione che circonda il caso Bo Xilai fornisce un’idea chiara (in tempo reale, non molto dopo l’evento) degli scontri e delle discussioni che hanno avuto luogo tra i leader del partito, e in tutto il paese, riguardo alla direzione politica ed economica che dovrebbe prendere la Cina, e a come dovrebbe essere composta la nuova leadership. Il ruolo che questi eventi giocheranno nei cambiamenti di leadership che avverranno a novembre non è ancora chiaro, ma le conseguenze globali del Congresso del Partito Comunista Cinese avranno un’importanza molto simile a quella delle elezioni presidenziali USA che avranno luogo più o meno nello stesso periodo.

(Traduzione dall’inglese di Roberto Ricci)


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