di Matteo Zola
Dei tanti fatti che hanno incendiato questa estate, dai riots di Londra alla protesta siriana, dagli indignados di Tel Aviv a quelli di Madrid, dall’arresto di Yulia Timoshenko alla presa di Tripoli, uno su tutti cattura la nostra attenzione e riguarda l’Europa intera. La crisi finanziaria, che non è andata in ferie, ha portato l’Italia sull’orlo del baratro. Una tragedia per tutti noi e per il vecchio continente. Eppure questa tragedia potrebbe diventare la più grande occasione per l’Europa: l’unità politica è ora a un passo. Un passo che però, forse, non verrà compiuto.
Tornati dal mare o da esotiche destinazioni, gli italiani hanno appreso una nuova parola: eurobond. L’ipotesi ardita è caldeggiata dal ministro dell’economia Giulio Tremonti che vede in essi la sola possibilità di salvezza per il Titanic Italia. In sostanza si tratterebbe di creare titoli europei garantiti collettivamente da tutti i paesi dell’Unione che potrebbero decidere di far dipendere parte dei loro finanziamenti da questi titoli. In tal caso se un paese non dovesse essere in grado di ripagare la sua parte di eurobond, dovrebbero farlo gli altri. La soluzione non è comoda come sembra: i paesi più indisciplinati non potranno certo contare su una garanzia senza controllo. Perché l’ipotesi eurobond si realizzi è necessaria una politica fiscale comune. Ogni stato dell’Unione avrebbe voce in capitolo sulle finanze altrui. Un sistema di reciproco controllo e garanzia. Si abdicherebbe però a una cospicua fetta di sovranità nazionale in favore di un organo sovranazionale. Tale organo è da crearsi ma tra politica fiscale comune e unione politica il passo è breve.
L’Europa, mai così vicina alla disgregazione, è anche vicinissima all’inizio di un più compiuto percorso unitario. L’ipotesi eurobond non piace ovviamente ai tedeschi i quali però non potranno tergiversare a lungo. Il fallimento dell’Italia sarebbe il fallimento dell’euro, e la Germania ne risentirebbe più di chiunque altro. Un eventuale ritorno alle valute locali, poi, avvanteggerebbe paesi dalla forte esportazione, come Italia e Grecia, a danno dei tedeschi. In gioco però c’è molto più di una moneta, o del fallimento di uno Stato come l’Italia – dato quasi per certo da Foreign Affairs, roba da brividi-.
Se l’Europa crolla a essere messi in pericolo non sono solo il nostro benessere economico o il welfare state ma anche il nostro modello democratico avanzato, la nostra libertà e autonomia, la nostra pace duratura. Un’Europa in rovina, in preda al tracollo economico e politico, sarebbe facile boccone per qualche superpotenza in vena di conquiste. Le divisioni interne, poi, acuirebbero nazionalismi e autoritarismi. Un incubo che potrebbe potrarsi per secoli.
Tale catastrofica ipotesi non sembra destinata a realizzarsi nell’immediato. I leaders europei dovranno trovare una soluzione che eviti il tracollo e, per farlo, saranno costretti a superare le divisioni. La via dell’unità fiscale sembra la migliore delle soluzioni possibili. Finora la Bce ha acquistato titoli italiani e spagnoli per tenere buone le borse che però non hanno alcuna intenzione di calmarsi. Gli incontri tra Merkel e Sarkozy agitano ulteriormente gli speculatori quando i due fieramente dichiarano che nessuna governance economica comune è all’orizzonte. Le borse si gettano così come locuste fameliche sui titoli di Stato italiani.