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Economicismo, malattia infantile dell’idiotismo

Creato il 07 maggio 2014 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

In occasione delle europee del 25 maggio le analisi serie latitano. Proviamo a decifrare il problema Euro-pa attraverso una breve analisi che vada oltre l’economicismo

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Corretta Informazione è nata come uno spazio di discussione libero, aperto a tutti i contributi che non trovano spazio nei media main stream. Per questo pubblichiamo anche le analisi che non condividiamo, in toto o in parte, ma che riteniamo interessanti. Come questa. Di questa analisi riteniamo estremamente interessante, e meritevole di pubblicazione, il discorso su una lotta contro il regime eurocratico che non si basi solo ed esclusivamente su un’analisi economica, ma che affronti la questione politica e di visione del mondo. Riteniamo, però, ambiguo il discorso in riferimento all’euro e alla sovranità. Per quanto riguarda l’euro siamo d’accordo che uscire da esso, per citare la felice espressione di Marino Badiale e Fabrizio Tringali, sia “condizione necessaria, ma non sufficiente”. Ma, appunto, necessaria, e che non riguarda soltanto la sfera economica (pur importante), ma soprattutto politica. A questo si collega, inoltre, il discorso sulla sovranità, popolare, costituzionale e democratica, che nulla ha a che fare con il nazionalismo e l’isolazionismo, ma che anzi sarà il primo passo per un’autentica alleanza tra stati sovrani europei (e che, fortunatamente, non avrà nulla a che fare con il progetto cosmopolita, e non internazionalista, di Altiero Spinelli). Buona lettura.

La Redazione.

Il 25 maggio si avvicina. “Riprendiamoci le chiavi di casa”, “Basta euro” gli slogan più in voga, propagandati magari da chi nel mondo della finanza e delle banche ha mangiato e continua a mangiare. Davanti a quel progetto egemonico e fallimentare che è l’Euro-pa, le analisi serie, profonde ed esaurienti latitano. Come sempre, quando si deve intercettare il consenso di un elettorato, il pervertimento del verosimile si fa norma. E allora come diceva Althussernon bisogna più raccontare storie”. Il XX secolo deve pur aver insegnato qualcosa ai pochi scolari della storia. Se “raccontare storie” è sempre grave, continuare a farlo dopo il fallimento del comunismo storico novecentesco è imperdonabile; soprattutto se si preferisce il successo elettorale alla sofferenza di uomini in carne e ossa. Ebbene, proviamo a decifrare il problema Euro-pa attraverso una breve analisi non-economicistica.

Proprio l’economicismo fu una delle cause del naufragio del sogno di una cosa marxiano. Localizzare e dedurre il male fin tanto da farlo coincidere tout court  con la società di  mercato, per farlo poi scomparire con essa, fu, a dir poco, ingenuo. La filosofia della storia marxiana porta il calco di quella hegeliana, entrambe sono la dimostrazione forzata di una conciliazione. Hegel preprogrammò la dialettica nella misura in cui si fornì di un Concetto (Begriff) in potenza che sarebbe diventato in atto attraverso il dispiegamento storico; per dirla con Nietzsche, lo Spirito Assoluto sarebbe diventato ciò che da sempre era.

Allo stesso modo Marx ottiene il comunismo maturo come risultato di un teleologismo storico che realizza un’essenza ad esso anteriore. Difatti, la filosofia della storia marxiana è una dialettica (lotta di classi) che vede all’origine il comunismo primitivo, il quale trapassa per Aufhebung[1] nella fase feudale, borghese, proletaria, per poi ritrovarsi compiuto nel comunismo maturo. Il risultato (Resultat) era inscritto nella dialettica storica. Esso era, per così dire, il necessario lieto fine della storia occidentale. Oggi fortunatamente sappiamo, o almeno dovremmo sapere, in che misura non dobbiamo certamente dirci allievi di Hegel e Marx[2]:

1. rigettando l’economicismo come malattia infantile dell’idiotismo specialistico, il quale pretende di dedurre e superare il male per vie esclusivamente economiche;

2. ricusando il mito dell’origine, ossia di un’epoca idilliaca e immacolata della storia che si perde nell’immemorabile.

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A questo punto introduciamo un concetto adorniano – chiave di volta per l’interpretazione che darò della questione Euro-pa –, vale a dire quello di bando. Questo è, in sintesi, una strategia di neocolonialismo del potere costituito, che, invece di conquistare uno spazio geografico, s’impadronisce dei processi logici e delle strutture categoriali con le quali organizziamo la realtà e la pensiamo. In tal modo, noi stessi siamo la  testimonianza incarnata del dominio di tipo capitalistico, noi siamo il capitalismo. Insomma, il potere (in questo caso detenuto dalle oligarchie finanziarie) crea i soggetti che sostengono attivamente l’ordine della propria schiavitù. Per questo motivo, la società di mercato ha sempre permesso anche le più feroci critiche ad essa, giacché sa che ogni tentativo decostruttivo dello stato di cose porta con sé il calco di ciò contro cui vorrebbe insorgere – pertanto il nuovo sarebbe già il sempreuguale. In estrema sintesi, siamo senza accorgercene – tutti, nessuno escluso – fruitori di una logica inquinata. Se a ciò poi aggiungiamo che la storia occidentale è il dispiegamento di pratiche di sfruttamento che vanno dalla “fionda alla megabomba” – e che quindi la società di mercato non è che un modo particolare di declinarsi del dominio –, allora la questione Euro-pa diventa più complessa di quanto alcuni economisti, schierati come  sempre secondo il più fallace dei manicheismi, voglia far sembrare.

La struttura dell’odierno capitalismo finanziarizzato e globalizzato è, quindi, perlomeno triplice[3]:

1. in superficie abbiamo una dimensione tecnica (il livello, per così dire, macroeconomico);

2. il livello intermedio viene prefigurato dal capitalismo come cultura e politica, ossia mentalità diffusa e forma di civiltà;

3. il livello più profondo, quello in cui la cultura capitalistica alligna le sue resistenti radici, rappresentato dal bando occidentale (il dispiegamento delle diverse forme di dominio).

Come si può ben  capire, il livello tecnico è il più superficiale: l’attuale crisi si lascia spiegare economicamente[4], ma non si lascia esaurire dal tecnicismo specialistico. Anche il termine crisi mi sembra decisamente inappropriato e ideologico: quella che stiamo vivendo non è una crisi del capitalismo o delle sue oligarchie finanziarie; al contrario esse sono riuscite a rafforzare la loro sovranità facendone pagare il costo sanguinoso ai popoli in termini di distruzione dei diritti sociali e svuotamento della democrazia. Se proprio si vuol usare la categoria di crisi, allora questa viene  inflitta quotidianamente dal capitalismo alla società civile (o quel che ne rimane). Perciò la crisi non raffigura  la causa e l’effetto della rovina dello stato di cose. Non si deve aspettare che passi per ricominciare tutto come prima. Il capitalismo è la crisi, la prevede e la procura ai popoli, questi scompaiono mentre i Mercati si rafforzano. Le parole adatte per designare tutto ciò sono dunque collasso e fallimento. Questo è il “capitalismo dei disastri”[5]. Siamo alle prese, dunque, con un fallimentare progetto egemonico di surrogazione della vita democratica con il potere criminale del capitale finanziarizzato, tanto a livello internazionale quanto a livello euro-peo.

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Se il capitalismo fosse soltanto un’economia o un’ideologia, sarebbe stato molto meno complicato trasformarlo in maniera sistemica e, con tutta probabilità, sarebbe stato già un brutto ricordo. Occorre, pertanto, un processo multidimensionale coordinato[6] (svolta culturale, svolta spirituale, svolta tecnica, svolta politica etc. etc.) in grado di frangere il bando. In altre parole, non avrebbe senso uscire dall’Euro-pa e restare nelle infami e delinquenziali logiche del dominio – l’esempio più eclatante fu il comunismo storico noventesco. Sostituire lo sfruttamento con un’altra forma di sfruttamento significa eternizzare il bando occidentale, perciò, l’euro non va riformato. Il riformismo è la vile retorica di chi proclama l’intangibilità della malaessenza capitalistica e l’accetta, in realtà, come il “migliore dei mondi possibili”. L’euro non va nemmeno rivoluzionato. La rivoluzione è un termine preso in prestito dall’astronomia che indica il moto sempre uguale di un corpo celeste attorno a un centro di massa. Su un piano sociale ciò raffigura una prassi simile a un “colpo di pistola” che si rovescia nell’opposto contro cui doveva insorgere. In altri termini, quelli che vogliono cambiare il mondo con le armi, non si avvedono del fatto che sono le armi a cambiare loro per mantenere le stesse regole del mondo che doveva essere cambiato[7]. L’euro non va neanche eliminato. Il nichilismo astratto parteggia con gli econocrati[8]. Pensare a una palingenesi ex nihilo, e quindi a costruire sulle macerie, è quanto di più sbagliato possa esserci. Fa onore al pensiero difendere la negazione determinata – in ciò, oggi, possiamo davvero dirci allievi di Hegel. Negare ciò che nega le reali condizioni di umanità e mantenere, invece, ciò che le favorisce è il metodo per uscire dal bando.

Il manicheismo di oggi, secondo il quale gli euristi sono il male e gli anti-euristi il bene, disonora il pensiero; la dialettica (illustre sconosciuta!) è quanto di più alto l’Occidente sia riuscito a scoprire. L’euro va dunque trasformato[10]. Restituire e trasformare sono parole che prefigurano la speranza effettiva di un oltre Euro-pa. Restituire i diritti a quanti (e quanti!) ne sono stati privati e i doveri a coloro che li hanno elusi a danno degli altri. Re-institutio, infatti, evoca l’instaurazione  di una realtà inedita[11]. Mentre tras-formare, invece, significa cambiare forma al sussistente attraverso una scienza della totalità in grado di fare i conti con quel complesso intreccio che è l’Europa. Trasformare significa considerare la multidimensionalità del capitalismo e procedere cooperativamente verso la liberazione dall’ubriacatura neoliberista (Maastricht come legalizzazione della distruzione dei diritti sociali, comunitari e democratici) e la creazione di un’Europa politica che faccia della giustizia il vero fondamento del vivere associati. In buona sostanza, trasformare significa aver cura del futuro che accomuna e affratella i diversi.

Dinanzi a queste considerazioni, a mio avviso, la retorica intollerabile del ritorno alla sovranità nazionale – che, per inciso, l’Italia non ha mai avuto – è quanto di più triste e desolante si possa proporre. Trasformare vuol dire andare avanti, non indietro. Il mondo globalizzato, oggi, più che mai impone l’interculturalità e non l’individualismo, malattia infantile del capitalismo. Ancora una volta personificare il male, credere che l’euro e la Germania siano la causa di tutti i mali, è ingenuo e fuorviante per le masse. Chi deve racimolare voti non dice, per paura di perderli, che gli italiani sono, per gran parte, un popolo esageratamente corrotto, mafioso, ingovernabile e arretrato; piuttosto il ceto dirigente semicolto vede nel malessere verso l’euro la possibilità di deresponsabilizzarsi, di scaricare la colpa della propria ottusità e incapacità interamente su un ordine eteronomo. Depravazione morale e logica criminale del capitalismo eurocratico formano un mix spaventoso.

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Chi volesse seriamente trasformare l’Euro-pa attuale, perché sostenitore del progetto politico federale che fu di Kant, Nietzsche (!), Spinelli etc., dovrebbe iniziare a porsi a distanza critica dall’economicismo (malattia infantile dell’idiotismo). Maastricht non rappresenta soltanto un trattato economico neoliberista, Maastricht è ognuno di noi, vive in ognuno di noi fintantoché si continua a pensare secondo categorie logiche logore (es: sovranità, dominio, potere, violenza). L’Euro-pa, progetto economico avviato dagli Statistici Uniti per opporre all’Urss un intero continente-vetrina, deve diventare un progetto politico, culturale e sociale al quale ognuno sente di appartenere. Quotidianamente si potrebbe trasformare Maastricht, se solo noi “storpi alla rovescia”[12] riuscissimo nell’impresa titanica di trasformare noi stessi. Maastricht è la perfetta antifrasi del cosmopolitismo dialettico tra stati nazionali e ordine sovranazionale. Anzi, si potrebbe dire che esso rivela un cosmopolitismo alla rovescia, ossia un mefistofelico ordinamento dove gli unici elementi ad essere effettivamente cosmopoliti sono i capitali, le merci e la classe capitalistica transnazionale. La sovranità globale dei popoli è stata vampizzata in favore di una razionalizzazione microfisica della disuguaglianza sociale.

Un’équipe di matematici all’Università di Zurigo ha sviluppato una ricerca[13] che delinea l’architettura del sistema della proprietà internazionale e del potere finanziario mondiale. Ebbene, essa risulta essere una gigantesca struttura a papillon, dove i lati sono ampi e il centro, al contrario, molto ristretto. Questo è composto da 147 società, gran parte delle quali anglosassoni. Nel cuore di questo centro – sede del potere economico planetario –   ci sono 50 società (banche, gruppi finanziari e assicurativi etc.) che hanno un potere di controllo sul sistema globale molto maggiore rispetto al potere squisitamente economico dato dalla loro proprietà effettiva[14]. Un fatto aggiuntivo rilevante è che i tre quarti del nucleo sono costituiti da intermediari finanziari. Ma notato i matematici di Zurigo: “La teoria economica non offre modelli che prevedano come queste imprese di potere transnazionale globale siano connesse le une alle altre”[15].

Insomma, la scienza economica ufficiale (economicismo ritualizzato e istituzionalizzato) non studia questa fragilità intrinseca delle oligarchie finanziarie che pilotano il destino del mondo e dunque dell’Euro-pa. Fin quando va tutto bene questa “supernova di 50 entità” appare robusta, ma se un singolo membro della cricca cade, le ripercussioni hanno risonanza planetaria con conseguenze catastrofiche. Sembra proprio che l’Occidente non riesca a divincolarsi da un corso del mondo sempreuguale e che Primo Levi designava con disincanto inquietante: “Una massa di invalidi attorno a un nocciolo di feroci”. Trarre le conclusioni di quanto detto è fin troppo semplice e pertanto lascio farlo al lettore, avviandomi verso la conclusione.

C’è soltanto un uomo più tradito e vilipeso di Marx in Occidente (e non solo) ed è Gesù di Nazareth. Egli testimoniò che si può vivere altrimenti. Solidarietà, fratellanza, sororità, gratitudine, carità, gratuità, amore, sono i semi della gestazione dell’oltre dominio (e quindi Euro-pa degli econocrati). Per chiunque sappia esistere all’altezza di queste virtù[16], il capitalismo sarà già storia. Questa  insufficiente analisi va a tutti coloro che vogliono con tutto se stessi trasformare il cannibalismo capitalistico ed estinguere lo sfruttamento, la violenza e il dominio; a tutti coloro che sanno commuoversi davanti al pensiero di un mondo di liberi, giusti e uguali; a tutti coloro che sanno essere felici solo se lo sono anche gli altri; a tutti coloro che soffrono se soffrono i suoi fratelli e non vogliono arrendersi al vergognoso stato di cose. Soltanto perseguendo inesauribilmente la strada di un non-ancora, sarà possibile un’Europa democratica e comunitaria. In cuor mio spero che uno spettro torni finalmente ad aggirarsi per l’Europa. Un’Europa in cui non ci siano più mendicanti, perché come scriveva Walter BenjaminFinché c’è ancora un mendicante, c’è ancora il mito”.

 

[1] Intraducibile in italiano, una sorta di superamento-conservante; esso è il modo in cui la storia, per Hegel, procede innanzi, vale a dire negando ciò che nega le reali condizioni di umanità e mantenendo il “positivo”.

[2] Ovviamente sunteggiando fino all’indecenza. La questione sarebbe lunghissima e interessantissima, ma non è questa la sede adatta.

[3] Cfr. R. Mancini, Trasformare l’economia. Fonti culturali, modelli alternativi, prospettive politiche, Franco Angeli Editore, Milano 2014, cit. p. 17.

[4] Come ad esempio l’ottima lettura dell’economista Roberto Frenkel riguardo la dinamica strutturale della crisi europea dovuta all’introduzione della moneta unica con tassi di cambio fissi.

[5] Cfr. N. Klein, Shock Economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, Rizzoli, Milano 2007.

[6] R. Mancini, op. cit. p. 18.

[7] Da ricordare il giudizio di Nietzsche sulle “rivoluzioni”: esse sarebbero profondamente negative in quanto scatenano energie selvagge, eccessi ed orrori di epoche sepolte. Quindi segnerebbero l’esplosione della violenza indiscriminata.

[8] R. Mancini,  op. cit. p. 14.

[9] S. Strange, Chi governa l’economia mondiale?, Il Mulino, Bologna 1998, cit. p. 227. 

[10] L’eliminazione nasconde una metodologia non così radicale come la “trasformazione”. Trasformare è più di eliminare. L’eliminazione lascia un vuoto nella memoria storica assai pericoloso; il progetto Euro-pa va ricordato per non essere mai più restaurato. In questo senso la trasformazione mi sembra una categoria ancora più radicale ed efficace della cerchia semantica dei termini astratti come “eliminazione”.

[11] Cfr. R. Mancini, op. cit. p. 14.

[12] Espressione cara ad Adorno.

[13] Cfr. S. Vitali, J.B. Glattfelder, S. Battiston, The network of Global Corporate Control, Zürich, 2011.

[14] Per ulteriori approfondimenti rimando al già citato lavoro di R. Mancini, il quale dovrebbe essere letto, a mio avviso, da tutti coloro che vorrebbero trasformare seriamente lo stato di cose.

[15] Cfr. The Network of Global Corporate Control, p. 4.

[16] Beninteso legate ad un processo multidimensionale di trasformazione: tecnico, sociale, antropologico, culturale etc.




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